Il primo gennaio 2013 cominciavo il nuovo anno scrivendo, su commissione, il concept per una mostra che si sarebbe dovuta (o meglio, potuta) fare nel salone al primo piano della Basilica Palladiana. Il 20 gennaio 2013 infatti chiudeva, dopo tre mesi di apertura, la tanto discussa “strategiacommericialeGoldin”, dall’ammiccante titolo “Raffaello verso Picasso”: la mostra avrebbe dovuto riportare in auge Vicenza, che negli ultimi anni si era lasciata sfuggire diverse occasioni per mettersi in piedi e ricavare dalla cultura un discreto ritorno, non solo d’immagine ma anche economico.
Pareva, al termine di questo evento similculturale, si prospettasse per il Salone della Basilica un gap organizzativo che la lasciava scoperta. Le elezioni per il nuovo sindaco sarebbero state ad aprile: qualcuno aveva pensato ad un evento che potesse cavalcare l’onda del successo (almeno di pubblico) della mostra goldiniana e sfruttare a proprio vantaggio la visibilità data dall’essere in uno spazio sì prestigioso e centrale? No. O meglio, qualcuno forse sì, ma pare non sia stato ascoltato. Il progetto fu vagliato da chi di dovere, piacque, e poi più nulla.
Si preferì fare una mostra su cartoline d’epoca, vista da una manciata di persone, e un’altra sul giro d’Italia…
Il titolo della mostra che avevo ideato era “Bentornato a casa”. Emblematico, certamente: la “casa” sarebbe stata la Basilica, vista nuovamente come spazio vissuto dalla città, e il “bentornato” si sarebbe dovuto dare ad un parterre di giovani artisti vicentini (il range medio si aggirava tra i 25 e i 45 anni) i quali, avendo avuto nel loro percorso artistico più successo, riconoscimenti e soddisfazioni professionali ed economiche all’estero, potessero, per una volta, essere “profeti in patria”, e venir visti per quello che erano (anzi sono) ossia ottimi artisti, omaggiati dai propri concittadini e dalla loro stessa città, in un luogo di prestigio com’è, appunto, la Basilica. Quindi, non più, o non solo, capolavori di maestri indiscussi dell’arte mondiale, ma anche opere di pregio di artisti – in vita – ancora, a noi, semisconosciuti.
Ora siamo al 5 di gennaio del 2014. Ad un anno di distanza, come sono andate le cose? Non c’è stato, come l’avevo pensato, nessun “bentornato a casa”; il sindaco è di nuovo Variati, il suo portavoce, Bulgarini D’Elci, è diventato vicesindaco e assessore alla Crescita con delega a Cultura e Turismo e referente per le attività culturali della nostra amata Basilica, e, a parte il “salone proibito”, non esistono spazi per l’arte che non siano gallerie private (qualcuna storica ha chiuso, nel frattempo, come Yvonne Arte Contemporanea, o altre nuove provano ad insediarsi, come Alessandro Ghiotto Galleria d’arte o Galleria Celeste, seppure molto diverse tra loro) o musei. Fine.
Nel corso del 2013, e prima del cambio di organico all’interno del consiglio comunale, erano state raccolte le firme di giovani esponenti del mondo dell’arte e della cultura vicentina che, attraverso una lettera, chiedevano al sindaco e all’assessorato alla cultura il motivo per cui qui a Vicenza, magari sulla falsariga della più meritocratica Schio, non venisse attuato un piano di bandi ai quali chiunque avrebbe potuto concorrere. Presentando progetti artistico/culturali, attraverso i bandi si sarebbe potuto accedere ai fondi (anche se pochi, ma poi che significa pochi?, che esistono) destinati a queste attività. Più che altro premeva segnalare che era ormai palese il coinvolgimento, nel giro ristretto della cultura visuale vicentina, dei soliti pochi volti noti, creando malumori, malcontenti, soprattutto quando il livello qualitativo del prodotto finale andava ad abbassarsi rasentando terra. Soprannominammo il gruppo di firmatari “Bandi, non banditi” (la virgola si può, in questo caso, mettere e togliere a piacere).
Tuttavia la nostra richiesta era anche in merito a spazi idonei ai quali poter accedere (sempre previo bandi) per esporre degnamente l’arte. Vogliamo tornare a parlare di Schio? A disposizione di chi ne fa debita domanda sono disponibili (e ben forniti di tutto il necessario per esporre): Palazzo Fogazzaro, Palazzo Toaldi Capra, il lanificio Conte e l’attiguo – appena riaperto – Shed. Qui mi fermo, già più che sufficiente come termine di paragone. Per una cittadina di neanche 40 mila abitanti, contro gli oltre 115 mila di Vicenza, un ventaglio di possibilità che fa impallidire la Nostra. Vediamo come sta messa Vicenza, invece: l’ex LAMeC, Laboratorio per l’Arte Moderna e Contemporanea, situato al piano terra della Basilica Palladiana, che per anni ha ospitato discrete esposizioni, inagibile prima perchè bisognoso di restauro, poi destinato a diventare “museo del gioiello”, mai attivato, attualmente chiuso; la Casa Cogollo, detta “del Palladio”, troppo onerosa da mantenere non essendo di proprietà del Comune, ma in affitto. Ha ospitato per anni le piccole ma interessanti mostre sul design, che curava egregiamente Stefania Portinari. Ora lo spazio è chiuso e non è, ovviamente, stato rimpiazzato con altro. AB23, la chiesetta di Ambrogio e Bellino, era dedicato all’arte contemporanea. La struttura subì danni a causa di un guasto alla caldaia che, pare, rese inagibile uno spazio da pochi anni recuperato, e non più riaperto. Risultato: nessuno spazio, adatto ad esporre, disponibile. Le tre realtà citate (vedi questo comunicato sul sito del Comune, datato 2009) facevano parte del progetto “Sistemi di Contemporaneo”. Cosa rimane? La Basilica blindata. Ma finalmente, forse, una svolta!
Illustri. “Undici illustratori under 40 che il mondo ci invidia” cita lo slogan sul manifesto. Che sia la volta buona in cui Vicenza (e il Comune) si rende conto che non esiste solo Goldin?
Ale Giorgini, il curatore, ha poco più di trent’anni e “udite udite” è vicentino. Ha deciso di far esporre, oltre ad alcune sue tavole, lavori significativi di altri dieci artisti. La scelta è ricaduta su illustratori giovani, italiani, che avessero, nel corso delle loro – ancor brevi ma scintillanti – carriere in ascesa ottenuto il maggior numero di riconoscimenti in ambito nazionale ed internazionale: vantano tutti di collaborazioni prestigiose nel mondo della grafica, della comunicazione, dell’advertising e dell’editoria; le loro tavole sono state pubblicate in riviste, magazine, fanzine on e off line ma anche in gallerie e musei di tutto il mondo. E, prerogativa per essere scelti tra i nomi di “Illustri”, questi artisti dovevano essere (ancora) residenti in Italia. Niente fuga di cervelli, dunque: si resta qui, perchè grazie al web, questi artisti sono stati in grado di dar vita alle collaborazioni internazionali di cui sopra (il New Yorker Daily Magazine, Rolling Stone, il Washington Post, The Daily Telegraph…) senza doversi necessariamente trasferire in una città straniera, o dover sottostare a meccanismi di jet set che ben poco li rappresentano. Internet, per molti di loro, è stato il mezzo che li ha condotti al fine: promuovere e divulgare il loro lavoro, attivare occasioni e contratti di lavoro, cercare e ricevere commissioni. I (social) network, se sfruttati a dovere, sanno essere delle reti di salvataggio e non delle briglie che trattengono.
Mi piacciono le mostre ordinate. Un’unica fila di tavole, ad altezza occhio, che corre lungo tutte le pareti imbiancate che ritmano l’enorme open space della sala dalla volta a carena di nave rovesciata. Seppure così in alto, quella copertura lignea è talmente imponente da riuscire ad attirare lo sguardo su di sé, nonostante la selva variopinta che circonda lo spettatore fin dall’ingresso.
Ad ogni artista è dedicata una sezione, per alcuni sono esposte tavole in originale, per altri stampe ad altissima risoluzione.
Fatta eccezione per chi si “sporca le mani” con colla e materia, la maggior parte di questi illustratori lavora in digitale con una resa che non ha nulla da invidiare al più tradizionale metodo analogico. Stento a crederci, tanto è alta la cura e la qualità dei dettagli. Sarà la scelta della carta su cui alcune opere sono stampate, ma è soprattutto la grande padronanza di tecniche e tecnologie, che fanno sì che sembri improbabile che con un mouse, o una penna digitale, si riescano a tracciare particolari così minuziosi. Programmi per lavorare in vettoriale, dal più datato Coreldraw all’ormai noto Illustrator, vengono affiancati dall’uso del popolarissimo Photoshop, per l’elaborazione delle immagini digitali. Alcuni di questi artisti hanno una capacità talmente elevata di utilizzo degli strumenti del pacchetto Adobe da essere loro stessi dei “respeaker” per la “casa madre”, in grado di correggere i bug e suggerire migliorie ai programmi.
Ciò che caratterizza la pratica artistica dell’illustrazione, ancor più di qualsiasi altra modalità del “fare arte” è la sintesi esecutiva. Un “less is more” che forse può avere un corrispettivo in architettura, e riporta alla mente gli haiku giapponesi. Un’estrema capacità di trasporre su carta, talvolta con segni essenziali, minimi, concetti complessi e molto articolati. Le didascalie inoltre sono indispensabili alla corretta comprensione degli elaborati che, talvolta, si prestano ad amplissimi ventagli interpretativi.
Jacopo Rosati, originario del veneziano, usa il feltro – divenuto sua cifra stilistica – per creare delle composizioni tridimensionali dalle campiture piatte, attraverso la sovrapposizione di livelli con un vero e proprio spessore, dato dalla consistenza della materia. Molta parte della sua committenza proviene da oltreoceano, così come per gran parte degli artisti in mostra. Il duo Bomboland invece utilizza la carta per realizzare mondi fantastici entro i quali ambienta scene suggestive: marito e moglie hanno dato vita quattro anni fa ad uno studio di illustrazione con sede a Lucca. Questi lavori, che ricordano i pop-up dei libri illustrati e per i quali si sono ispirati vedendo in Francia lavori analoghi, realizzati in plexiglass, stanno vedendo una loro evoluzione dalla carta al digitale, prevedendo versioni mobili delle composizioni da attivare attraverso la navigazione on line. Per tutti loro un’ulteriore difficoltà è espressa dalla trasposizione in fotografia delle tavole, e dunque in stampa, sì da rendere attraverso un sapiente gioco di ombre la tridimensionalità espressa dalla materia nella versione originale dei lavori.
Per tutti gli altri il campo di gioco è il digitale tout court. Umberto Mischi, ventiseienne originario di Sabbioneta, si è specializzato ad Urbino e in seguito a Parigi, dove ha dato il via a collaborazioni con prestigiose testate internazionali del calibro del New Yorker. Mischi è un mago dell’infografica, ossia la declinazione più visuale che testuale di veicolare un’informazione, strategia comunicativa usata sempre di più dai quotidiani che mirano a rendere le letture degli articoli sempre più rapide, anche se composti da contenuti complessi e ricchi di dati.
Olimpia Zagnoli condensa nelle sue tavole il suo raffinato gusto sixties – seventies, le lezioni pittoriche dei grandi maestri (da Picasso a Matisse) e le influenze iconografiche di certa fotografia e cinematografia (da Man Ray a Jacques Tati) non discostandosi da una visione centrata sul contemporaneo. Henry Miller, sono certa, sarebbe entusiasta di come Olimpia ha saputo interpretare i suoi Tropico del Cancro e Tropico del Capricorno, giocando con i cliché delle forme femminili, a lui tanto care. Dopo anni di porte chiuse in faccia in Italia, Olimpia ha trovato risposte positive a New York. Ora, da questa parte dell’oceano, collabora con Feltrinelli, La Repubblica, Internazionale. Quest’ultimo ha dedicato il calendario 2014 alle sue illustrazioni.
Rubens Cantuni, artista di origini genovesi nato nel 1982, mixa elementi presi a prestito dalla street art della vecchia guardia, dai manga giapponesi, dagli studi di tatuatori orientali fino alle icone del Warol più pop. E le sue tavole culminano nelle pubblicità di Nike, di Foot Locker e altri colossi simili…
Alessandro Gottardo, aka Shout, classe 77, è uno dei due “big” di Illustri. La qualità del suo lavoro non coincide soltanto con la capacità di far confondere il suo tratto digitale con il miglior disegno analogico – una sapienza esecutiva in grado perfino di “rendere lo sporco” sul foglio, come fossero le sbavature dell’inchiostro di un pennino o le imprecisioni della stampa da incisione manuale – ma anche con una grande sensibilità intellettiva. I suoi lavori sono raffinati anche dal punto di vista concettuale: la sua ironia, velatamente drammatica, sottende a livelli più profondi, non scadendo mai nel banale. Tra gli altri riconoscimenti, è stato insignito della Medaglia d’Oro dalla Society of illustrators di New York.
Altro grande artista, Emiliano Ponzi, esce dalla stessa classe dello IED frequentata da Gottardo – l’istituto milanese nel quale molti di questi Illustri si sono formati. Ironico anch’esso, ma tagliente, talvolta con punte di cinismo. Anche Ponzi ha ricevuto la Medaglia d’Oro dalla Society of illustrators di New York, nella categoria Art Serial and Sequential. La menzione arrivò per le nove copertine delle riedizioni economiche Feltrinelli dei classici di Bukowski, l’intramontabile.
Le tavole di Mauro Gatti sono ricche di uno humor semplice ma coinvolgente: Minestrone Club e Super Best Friends spiccano per gli accostamenti goliardici, lo stile è fortemente iconico e trae ispirazione dalle illustrazioni vintage da seconda metà del Novecento. La prima illustra la ricetta preferita dall’autore: patate carote e piselli entrano sorridenti in un club riservato solo a loro, escludendo una intristita banana; la seconda celebra le unioni tra oggetti più o meno improbabili che si sorridono tenendosi per mano: nuvola e ombrello, cacchina e carta igienica…Nel 2004 ha fondato Mutado, “a creative studio”, nella sua Milano.
Riccardo Guasco, aka Rik, ha una passione smodata per la bicicletta, elemento che si reitera più volte nelle sue tavole dai toni romantici. I protagonisti dei suoi lavori sembrano uscire da qualche fumoso locale degli anni Venti, staccandosi da poster futuristici per entrare a popolare scene da sogno. Un artista che cita tra le sue ispirazioni le opere di Feininger, l’iconografia di Chaplin e i personaggi del Corriere dei Piccoli non può non essere un “uomo d’altri tempi”. Eppure, nemmeno questi lavori sono ad acquerello. In digitale! Da non credere.
Francesco Poroli è, assieme a Alessandro “Shout” Gottardo, Emiliano Ponzi, Olimpia Zagnoli, protagonista di “Illustratori”, della regia di Andrea Chirichelli e Marco Bassi, film documentario che ben racconta la professione di illustratori e sottolinea l’estrema forza di volontà da parte di artisti, professionisti, giovani e bistrattati dal sistema italiano, che trovano, attraverso il web e il duro lavoro, la possibilità di emergere, ancora una volta fuori dall’Italia. Poroli, milanese classe 75, disegna solo con il mouse. E il suo lavoro è finito in copertina sul New York Times Magazines ai tempi della campagna elettorale di Romney. Perché, come lui stesso racconta, “almeno di là dall’oceano non è necessario essere l’amico dell’amico o avere la conoscenza diretta per lavorare. Sei bravo, hai lo stile che ci serve, non ci interessa chi sei, da dove vieni. Finisci in copertina. Punto.”
Per chiudere torniamo al curatore. Ale Giorgini ha trasposto la sua passione per la cinematografia nel suo lavoro di illustratore. Nelle sue tavole, contraddistinte da un “horror vacui” di altri tempi, riempie le scene di personaggi che giocano a tetris incastrando corpi e accessori, in un vortice di dettagli. Occhi come punteggiatura, sopracciglia come lettere: V, U, _. In mostra i personaggi di Star Wars stanno accanto a Drugo del Grande Lebowsky, con il suo immancabile White Russian in mano; i figurini stilosi di Kill Bill fanno da contrappunto agli alieni che popolano Mars Attaks: l’alternanza di pantoni “ton sur ton” crea una cromia che ha dello psichedelico.
Seppure qualcuno abbia sollevato perplessità in merito al fatto che un curatore esponga in una mostra curata le sue stesse opere, io spezzo una lancia a favore dell’ottimo lavoro di Giorgini, e della capacità organizzativa di Yourban, che ha supportato l’impresa. L’ho trovata una mostra equa e democratica, alla portata di tutti ma non banale, una ventata di aria fresca, trattata con una professionalità e un gusto davvero elevati.
La gratuità dell’ingresso ha favorito il riscontro positivo da parte del pubblico. Finché scrivo credo si siano superate abbondantemente le 20 mila entrate in venti giorni di mostra. Oltre trecento studenti di tre istituti d’arte cittadini si sono confrontati con tre protagonisti di Illustri durante una conferenza dal titolo “Professione illustratore”: la mostra entra nella scuola.
Inoltre l’uso massivo di tecnologie alla portata di tutti – come ad esempio la “realtà aumentata” che permette di accedere, attraverso un’applicazione scaricabile, a contributi extra a quelli forniti in mostra, o social network come facebook e twitter, assolutamente in linea con l’andamento del contemporaneo – ha contribuito al tam tam mediatico, rafforzando una campagna pubblicitaria ben impostata.
Chiamatela come vi pare, ma non lungimiranza. Un mese e mezzo di preavviso, da parte del Comune, per far preparare una mostra come questa, per sostituire una mostra saltata, non è lungimiranza. Il caso fortuito (?) ha fatto sì che stavolta, a rimpiazzare la retrospettiva dedicata a JFK improvvisamente sfumata, fosse un’esposizione di livello elevato, ben strutturata e che ha riscosso un indiscusso successo da parte di pubblico e degli addetti ai lavori.
Io mi auguro, in tutta onestà, che questo episodio non si riveli solo una, seppur splendida, eccezione, ma che tutto ciò diventi una regola. Staremo a vedere. Intanto prepariamoci, sta per arrivare Monet…
Complimenti per l’articolo. Finalmente qualcuno parla della realtà artistica vicentina senza peli sulla lingua, soprattutto chiamando le cose con il proprio nome, cit. “strategiacommercialeGoldin”.
Spero davvero che ci siano altre esposizioni come Illustri, mostrando i lavori di giovani artisti e rendendoci fieri di essere vicentini, senza aver voglia di scappare, ma trovando opportunità nella nostra città.