“C’è crisi, c’è grossa crisi.” Ultimo giorno di ArtVerona Fiera, scambiando le ultime considerazioni con i miei compagni di viaggio, gli Independents vicino al Take Care Corner, gli altri blogger, non ho potuto non sorridere ripensando al geniale Corrado Guzzanti ai tempi dell’improbabile “Quelo”. “C’è crisi. C’è grossa crisi”.
Finchè scrivo le gallerie a fianco a noi stanno cominciando a smontare i propri stand. Noi faremo un po’ meno fatica, gli Independents (scelti da Fuori Biennale, partner di ArtVerona da 4 edizioni) non hanno uno stand, hanno dei moduli di legno che in questi cinque giorni sono diventati scaffali, sedute, tavolini, scrivanie, espositori…Ognuno ha tentato di personalizzare al meglio il proprio spazio. Io ho portato, come ormai sapete bene, una poltrona e una lampada, per dare uno spazio fisico, quindi concretezza, al tempo che avrei voluto dedicare (e che alla fine ho dedicato) ad ascoltare racconti di artisti e curatori sull’arte, sul loro modo di vivere e fare l’arte.
La crisi c’è. Sicuro, non devo di certo essere io a dirlo. Forse l’ha detto il debole afflusso di pubblico alla fiera, l’inaugurazione non esattamente scoppiettante di giovedì, i musi lunghi di certi galleristi rinchiusi nei loro stand, ma se c’è una cosa che ha risollevato il mio morale è stata la scoperta dei progetti che le realtà indipendenti, ospiti del – seppur scarno e forse un po’ bistrattato – corridoio fluido degli Independents, (compagine mediana dei due padiglioni, il 10 e l’11, tanto calpestati in questi cinque giorni di fiera) che con le loro proposte hanno saputo dare un po’ di vita, una svecchiata al “museo delle cere” che a volte pareva di abitare. Tentativo non tanto di superare la crisi, non è neppure più quello il problema, ma dimostrazioni di tenacia, di voglia di fare, di costruire, di procedere, nonostante tutto.
L’educazione, a tutti i livelli, manca di un insegnamento fondamentale, non considerato, ma che dovrebbe essere alla base della formazione di ogni individuo: l’educazione al desiderio. A trent’anni suonati, ragazzi che dicono che non sanno cosa vogliono fare da grandi mi fanno rabbrividire. Significa che in tutto questo tempo non si sono mai chiesti quali sono le loro aspirazioni, i loro sogni, non si sono posti il problema di come poter raggiungere determinati obiettivi e come aggirare o superare certi ostacoli? Significa che non hanno sperato? E’ questa la crisi. E’ questo che fa mettere in crisi. Un individuo come un’intera società. Come si può pensare di evolvere se non si sa che si può, si deve, desiderare?
Nel post Venetudine e Disoccupatia mi chiedevo giusto se ci sarebbe stato lo spazio, in una fiera dell’arte, per riflettere sulla questione “Ma dove diavolo stiamo andando?”. Ecco come rispondono alcuni degli Independents ad oggi: “nomen omen” nel progetto di Unità di crisi, Krisis Magazine, un nome che è uno schiaffo alla crisi. Collettivo di ricerca composto da designer e teorici della comunicazione con sede a Brescia, cura un volume tematico non periodico che propone riflessioni critiche in merito al tema del design, all’arte e alla comunicazione tout court rispetto allo stato di crisi permanente. Assieme ad Andrea Facchetti ho sfogliato le due pubblicazioni, Krisis Identities (sulla crisi dei modelli di rappresentazione dell’identità) e Krisis Orientation, che analizza le cause del disorientamento diffuso all’interno del mondo che si abita.