Ormai è da oltre un mese, giorno dopo giorno, che passo davanti ad un dipinto di un giovane Francesco Hayez in mostra a Palazzo, e lo guardo e riguardo con un interesse crescente.
Ha alcune caratteristiche che me lo fanno piacere in modo particolare. Il primo è che, essendo una sorta di studio (pare sia stato protagonista di una gara pittorica tra giovani pittori, che si dovettero cimentare su uno stesso tema) non è realizzato su un supporto perfetto. La tela sul quale è steso l’olio a pennellate spesse è di trama grossolana, che a me ricorda i sacchi di juta. Fosse stato a lavorare in studio con, che so, Burri o Kounellis, probabilmente se la sarebbero litigati, quella pezza di stoffa. Poi, sempre il “mio” Hayez, lontano quanto basta dal romanticismo di un bacio dato sulle scale, ha evidente in controluce, verso l’angolo in basso a destra, una macchia di colore che non ha nulla a che vedere con la stesura originale. Un rattoppo cromatico di chissà quale epoca, ma potrebbe essere tranquillamente una vernice, perché in quella zona il riflesso si fa più brillante, e a me fa l’effetto che provoca il bianco di una cicca da masticare appiccicata sullo stipite di un’entrata in travertino.
Ma, la faccenda che proprio non mi fa staccare gli occhi di dosso da quell’opera è la storia di un piede. Il piede di Filottete.
Beh, è una mostra sul Mito, quindi la storia tocca raccontarla. Io, ammetto la mia grassa ignoranza, ho dovuto impararla ex novo, perchè le mille e mille vicende legate alle scorribande epiche dei protagonisti dell’Iliade mi erano perlopiù sconosciute. Filottete era uno dei valenti uomini della spedizione achea diretti alla conquista di Troia – sì, sì, col pretesto di riprendersi Elena che era scappata da Sparta col bellimbusto di Paride/Alessandro – ma che a Troia non ci arrivò con gli altri. Infatti, a Tenedo, nei pressi dello Stretto dei Dardanelli dove la flotta che aveva fatto scalo, Filottete venne morso ad un piede da un serpente. In breve tempo, la sua ferita infetta puzzava a tal punto che Odisseo e gli altri non ci misero molto a sbarazzarsi di lui, parcheggiandolo in quarantena all’isola di Lemno per una decina d’anni appena. Ah, se ve lo steste chiedendo, sì. Se lo andarono a riprendere, alla fine.
Ad ogni modo, quel piede, è quel piede ferito che mi attira tanto. Filottete se lo guarda, tenendo sollevata un poco la gamba destra, e piegando il ginocchio, così da afferrare la caviglia fasciata da una garza bianca, mentre è seduto su una roccia a mo’ di scranno.
La sua nudità eroica è coperta appena da una coppia di mantelli, uno bianco e uno rosso scuro, di un’utilità pressoché inesistente, se non per consentire al nostro pittore di giocare con le ombre tra i panneggi. A terra, le frecce che Eracle gli aveva donato, e che Filottete usava per cacciare durante l’esilio.
Quel piede dicevo, quel piede gonfio da una ferita…chi altro ci ricorda, trafitto alle caviglie da dei dardi per dargli non tanto la morte, quanto la sofferenza di una deformazione? Ma sì, ecco: quello del complesso! Edipo, proprio lui. Condannato fin dalla nascita ad avere una sorte infausta, ovvero quella di uccidere il proprio padre e congiungersi alla propria madre, e per questo allontanato dalla famiglia a seguito delle rivelazioni dell’Oracolo di Delfi. Ed è qui che spunta un secondo piede, un secondo dipinto, di oltre 160 anni più tardo del capolavoro di Hayez.
Si tratta dell’Edipo di fronte alla Sfinge che Francis Bacon ha dipinto nel 1983. Spesso questo lavoro è stato messo a confronto con un altro splendido dipinto ritraente lo stesso tema, realizzato da Jean-Auguste-Dominique Ingres nel 1808 (nell’immagine di copertina all’articolo). Ma qui, se dovessimo fare il gioco delle tre carte, io toglierei di mezzo il francese e, a fianco del “puglilatore” in canotta e pantaloncini di Bacon di fronte ad una Sfinge piuttosto disinteressata, ci metterei il nostro Hayez. Mi piace pensare che, nonostante la facile assonanza con Ingres, l’irlandese geniale, avesse preferito rifarsi ad un altro modello coi piedi gonfi, guardando a qualcuno con una storia altrettanto ardua di rifiuto e abbandono. Qualcuno come Filottete che, per campare, ha dovuto sopportare la sofferenza di un esilio forzato, in attesa di tempi migliori.
Ah già, la freccia. Guardate oltre la porta…
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