Ultimo weekend di apertura di “FLOW, arte contemporanea italiana e cinese in dialogo”, piattaforma espositiva con cadenza biennale, giunta quest’anno alla sua seconda edizione: ideata dalla curatrice italiana Maria Yvonne Pugliese assieme a Peng Feng, docente di estetica all’Università di Pechino e curatore di importanti mostre internazionali, “Flow” è pensata per mettere in dialogo due culture apparentemente lontanissime tra loro, la Occidentale e l’Orientale, e per mostrare – assieme alle opere – come si siano evoluti i confini dell’arte contemporanea in due Paesi agli antipodi, svelando i declini di antiche concezioni estetiche e mettendo in luce nuovi punti di contatto.
L’apporto a “Flow” da parte di Feng e Pugliese è ascrivibile all’interno di un notevole lavoro di “ricucitura”, ancor più che di interpretazione curatoriale, atto a creare un legame continuo tra le opere dei 24 artisti, 14 italiani e 10 cinesi: un filo rosso talvolta impercettibile che unisce due mondi, diversi tanto nelle istanze sociali quanto in quelle iconografiche, in grado di mettere in luce le affinità stilistiche, tecniche, concettuali tra i progetti artistici laddove non ci si aspetterebbe alcun fattore univoco.
Accolte nella luce abbacinante che investe la grande sala al piano nobile della Basilica Palladiana, nel cuore storico di Vicenza, le circa trenta opere (per la maggior parte installative) dialogano con il vuoto che fa da collante, instaurando un inscindibile rapporto con la vastità del monumentale contenitore.
All’interno del percorso aperto (entro il quale lo spettatore si muove in totale autonomia), emergono con chiarezza le nuove tendenze, dell’arte cinese ancor più di quella italiana, sempre più lontana dalla spinta del post-modernismo degli ultimi due decenni che aveva portato gli artisti cinesi ad abbracciare le istanze dell’arte contemporanea occidentale al punto tale da abbandonare quasi completamente l’estetica propria orientale.
Nell’introduzione al catalogo, il curatore Peng Feng definisce esaurita la fase, propria degli anni Novanta del XX secolo, in cui si ritrovava lo stile cinese nell’arte contemporanea con evidenti connotazioni post-moderniste e post-colonialiste. La nuova spinta, in auge tra gli artisti contemporanei cinesi a partire dal 2015, sembra muoversi in controtendenza con quanto avvenuto sinora, riconoscendo alla cultura cinese l’iniziativa di muoversi verso l’esterno, con il precipuo intento di influenzare il resto del mondo, a partire dall’Occidente che tanto aveva pesato sulle scelte stilistiche fino al primo decennio del XXI secolo.
Mossi da interrogativi che chiamano in causa la presa di coscienza nei confronti di un’etica ecologica, artisti come Shang Yang o Bu Hua esprimono la deriva dell’Uomo in relazione all’Ambiente. Per contro, le reali conseguenze di scelte indiscriminate nei confronti dell’abuso di risorse naturali vengono affrontate nel cuore del percorso espositivo, l’“Ecoagorà” di Piero Gilardi. Nell’installazione, che invita lo spettatore ad addentrarsi fisicamente nell’opera, l’artista affronta la drammatica crisi ecologica attraverso un approccio “etico-estetico”, riprendendo, nella conformazione architettonica antica dell’agorà, la più idonea struttura al dialogo interculturale.
L’iconografia del confine, la relazione del corpo con lo spazio, è affrontata tanto nelle opere degli italiani Franco Ionda (la silhouette brillante di un’idea di muro interrompe la non-linearità del percorso espositivo) e Cristina Treppo (la precarietà del suolo) quanto nel video del cinese Ly Binyuan, sintesi della performance attraverso la quale il corpo dell’artista diventa mezzo di conoscenza della dimensione urbana, percezione sfondata nelle installazioni fotografiche stratificate di Francesco Candeloro.
La necessità di affrontare il passato storico di entrambi i paesi, all’interno di un percorso intergenerazionale, è sentito tanto dal collettivo Chao Brothers (il progetto non ancora conclusosi “Cercare il DAO_108” porterà alla realizzazione di altrettante paia di scarpe – gigantesche riproduzioni ceramiche – ciascuna simbolo di un cambiamento storico, trasmesso dall’usura dell’oggetto), quanto da Arthur W. Duff, che riporta alla luce un racconto tragico legato alla Seconda Guerra Mondiale, vissuto in terra vicentina: l’installazione “spara” in aria – con un proiettore a laser – alcuni dei nomi dei bombardieri americani che colpirono, distruggendo, l’Italia.
Altro elemento di contatto è nel valore dell’introspezione, ricercata attraverso gesti rituali che – nella loro ripetitività – compongono l’opera d’arte stessa: questo avviene tanto nella gestualità ponderata della scultrice Geng Xue, e nelle opere delicatissime della videoartista Li Wei, quanto nella performance affidata al pubblico che Giovanni Morbin inscena nel suo “Concerto a perdifiato”, chiusa del percorso installativo.
Riprendendo i presupposti della prima edizione, “Flow” cede la parola agli artisti, liberi di raccontare in brevi video a disposizione del pubblico, la propria ricerca stilistica, scevra del filtro dell’interpretazione curatoriale.
FLOW, arte contemporanea italiana e cinese in dialogo
a cura di Maria Yvonne Pugliese e Peng Feng
Vicenza, Basilica Palladiana. 25 marzo – 7 maggio
(Foto courtesy Linda Scuizzato)