La faccia oscura dell’arte

Ricevo una telefonata in tarda mattinata, sabato. E’ Elena Dal Molin, corpo e mente di Atipografia. Mi chiama per chiedermi di intervistare – per la web radio dell’associazione – i protagonisti della serata. Detto, fatto. Dopo poche ore mi ritrovo dietro la spessa tenda nera che divide lo spazio espositivo di questa meravigliosa ex tipografia (trasformata in luogo dedicato al contemporaneo) dalla saletta dedicata alle registazioni con, a fianco a me, uno alla volta, Carlo Bernardini, artista visionario che ha appena inaugurato la personale dal titolo Coordinate Invisibili, Luigi Meneghelli, un critico-poeta (come lo chiama Elena) e Claudio Cervelli, light designer e uomo di squisita sensibilità.
Questo un piccolo racconto della mostra, fresca di inaugurazione.

Atipografia non ha niente a che vedere con le gallerie intonse, dalle grandi pareti bianche, dentro delicatissimi spazi architettonici progettati dalle archistar e pieni di limitazioni, dice Carlo Bernardini. Coordinate invisibili, questo il titolo della sua personale, è nato con e dalla relazione con quello che è uno spazio crudo, fortemente caratterizzato, legato inscindibilmente al suo passato, di questa storica tipografia della provincia vicentina, ma che, con le sue pareti scrostate – che mostrano la nuda pelle dei mattoni – e le ampie vetrate piombate, si presenta come una “vera e propria palestra” per l’artista e la sua ricerca artistica. Bernardini ha inteso l’asprezza del luogo, le difficoltà oggettive dello spazio, come un valore aggiunto al suo lavoro, site specific per antonomasia. “Vedere è soprattutto ‘vedere il problema’ e ciò che gli sta dietro. L’artista più attento cerca di ridescrivere nell’opera l’itinerario del proprio sguardo”, scrive Luigi Meneghelli nel testo introduttivo all’opera di Bernardini. Perchè è complesso parlare di visibile quando la sostanza di un intero operato poggia sull’invisibile.
Le opere di Bernardini sono più che installazioni di luce. Le geometrie di luce, prodotte dall’estensione al massimo della sua capacità di corde di fibra ottica, scardinano la prospettiva del reale abbattendo virtualmente i limiti oggettivi delle architetture sovrapponendo ad esse nuovi piani intuibili. Una geometria della mente, ma tangibile – com’è il materiale luminoso utilizzato – e attraversabile, nonostante le linee, raccordate tra loro per mezzo di punti dalla luminosità accentuata, sembrano formare, nello spazio, piani invalicabili.
Queste grandi e leggerissime “opere ambiente” dialogano con un buio non subìto ma vissuto. Nell’oscurità notturna in cui è avvolta la grande sala espositiva non si percepiscono che questi sottilissimi e ben definiti fasci di luce, dall’intensità eterogenea. Ma, nella stessa sala illuminata a giorno dalle grandi vetrate, le opere si rivelano nella loro doppia natura, svelando un esoscheletro di metallo, a sostegno e raccordo delle fibre ottiche, che diventa parte integrante del fattore installativo. Ganci di accaio, anime in ferro, piastre affastellate una sull’altra: sono le “spine dorsali” – come le chiama il loro stesso fautore – delle opere luminose, e mostrano un’estetica altrettanto forte quanto quella messa in gioco dalla luce che buca il nero denso.

  • Photo courtesy Luca Peruzzi e Atipografia
  • Photo courtesy Luca Peruzzi e Atipografia

Un’altra opera entra direttamente a contatto con lo spazio di Atipografia e, come spesso succede nei lavori di Bernardini, se ne frega dei limiti oggettivi delle superfici materiche volendo ad ogni costo oltrepassarle, per creare, attraverso quei segni disegnati con la luce, una continuità spaziale tra interno ed esterno. L’opera, composta da sottilissimi tubi di vetro riempi dal gas neon (ma privi degli elettrodi che necessiterebbero per eccitare il gas attraverso l’energia elettrica e produrre la luce “piatta” tipica del mezzo) si fa spazio attraverso i vetri delle finestre, bucandoli e stando letteralmente a metà tra il dentro e il fuori. Questa delicata piramide di linee di vetro illuminato contiene al suo interno visibile una bobina di Tesla la quale, seppure molto piccola, permette alla struttura di illuminarsi, sostituendosi alla fonte di energia elettrica tradizionale, ma producendo nei tubi intensità luminose differenti, in base alla vicinanza di questi con la bobina.
Qui un aspetto, che svela, se vogliamo, le origini della ricerca artistica di Bernardini: se da un lato l’uso del neon richiama alla mente Fontana e le sue sperimentazioni sull'”invasione” spaziale degli anni Cinquanta (che rompeva con le tradizionali concezioni di supporti e modalità artistiche a favore della tecnologia) plasmando il tubo di neon e creando un linguaggio totalmente innovativo, dall’altro lato non possiamo non ricondurre l’aspetto di “ambiente”, che assume nel suo complesso l’apparato di opere nello spazio, all’attività di ricerca della Op Art, del Gruppo T e delle varianti prospettiche messe in campo, attraverso l’applicazione degli studi di ottica e cinetica, negli ambienti all’interno dei quali lo spettatore “viveva” l’opera e, gradualmente, cominciava ad interagire con essa, modificandola. Così qui, di fronte ai “neon ritoccati” di Bernardini mi trovo ad imitare il gesto dell’artista al mio fianco che, usando la mano come conduttore di elettricità, attiva i neon spenti avvicinandosi ad essi.
La rifrazione sui vetri bui della piramide imbroglia il nostro occhio, che non riesce più a percepire cosa è dentro e cos’è fuori, quali le linee reali e quali le luci riflesse, in un continuo gioco di rimandi e cambi di visione…
La mostra rimarrà esposta ad Atipografia fino al 14 marzo. Un consiglio? Andateci non appena sarà sceso il sole…

Coordinate Invisibili di Carlo Bernardini.
Dal 17 gennaio al 14 marzo 2015.
Dal mercoledì al venerdì dalle 15 alle 19.
Sabato e domenica dalle 15 alle 20.
Atipografia Via Campo Marzio 26, Arzignano (VI)

Photo courtesy Luca Peruzzi e Atipografia

 

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