Alcuni lo amano, altri lo odiano. La sua critica schietta al mondo dell’arte buca lo schermo e infastidisce certe coscienze. É Luca Rossi.
In previsione di TULPENMANIE mi sono seduta accanto a lui sul divano virtuale del web e ho chiesto il suo parere sul VALORE DELL’ARTE. Ecco l’intervista che ne è uscita.
Petra Cason: Caro Luca, finalmente eccoci a discutere di “valore dell’arte”. So che è un tema caldo, che ti sta particolarmente a cuore. Ho preferito coinvolgerti utilizzando la modalità che ti è più congeniale, ossia discutendo con te “faccia fronte al monitor”, anziché seduti comodamente in poltrona a Verona. In quale veste prendi parte al dibattito (chi è Luca Rossi, perchè Luca Rossi)?
Luca Rossi: Il problema non è partecipare al dibattito dal vivo, ci mancherebbe, ma chiedersi quanto questo sia utile rispetto ad una conversazione che chiunque può leggere su internet (questa). Mi chiedo se abbia senso parlare ai soliti addetti ai lavori, che parlano parlano e poi non cambiano mai il loro approccio. Mi chiedo se sia (ancora) giusto partecipare gratuitamente a questi talk. Non per essere venale ma per pretendere un certo grado di professionalità (che non significa professionismo). Partecipo come Luca Rossi, e non sono certo anonimo come molti credono. In Italia, come in una grande famiglia italiana un po’ mafiosetta, gli addetti ai lavori pretendono di conoscersi tutti; devono conoscersi tutti per intessere al meglio la maglia delle pubbliche relazioni, ovvero l’unica difesa e l’unico piedistallo per la propria attività. Io invece vorrei comportarmi in modo sincero anche a costo di essere antipatico. Solo così rimarranno le persone più oneste, leali e sinceramente interessate.
PC: TULPENMANIE è il nome che ho dato al progetto che quest’anno porto nella sezione Independents di Artverona, accogliendo il tema affrontato quest’anno, quello della bolla speculativa, che ha investito senza dubbio anche l’arte contemporanea. Che rumore ha fatto, questa bolla, esplodendo?
LR: La bolla non ha fatto alcun rumore per tutti coloro che cercano ancora di perpetuare modelli, rituali e atteggiamenti che non funzionano più. E quindi la stragrande maggioranza del pubblico dell’arte contemporanea, che in Italia coincide impietosamente con gli addetti ai lavori. Scommetto che nella tua platea ci sono solo addetti ai lavori, collezionisti, loro amici e qualche persona dei settori limitrofi (design, moda, architettura, cinema, ecc).
PC: Quando è esplosa realmente secondo te e chi credi sia stato maggiormente colpito?
LR: La bolla è scoppiata nel 2009, non a caso l’anno in cui è nato del tutto spontaneamente e naturalmente il mio blog. I più colpiti sono stati i collezionisti. Nel senso che tra fine anni 90 e il 2009 sono state vendute opere bidone, ossia opere caricate arbitrariamente di valore. Nel 2010 parlai di un caso p-ART-malat. Proprio come per la Parmalat a fine anni 90, poche persone decisero il valore dei titoli arbitrariamente.
Proprio per questo bisogna oggi avere il coraggio di ripartire da zero ricercando ragioni e motivazioni dell’opera. Ed è quello che sto cercando di fare su più fronti: linguaggio, critica e un rapporto del tutto inedito con il pubblico.
PC: Credi che la crisi economica, andando a colpire nel vivo l’esasperato meccanismo di produzione di arte (troppi soldi foraggiavano troppi artisti mediocri) abbia esercitato realmente un’azione di scrematura?
LR: Sicuramente, anche se i sopravvissuti e i nuovi astri nascenti tentano oggi di perpetuare gli stessi modelli fallimentari. Possono fare questo perché non esiste un pubblico vero, e quindi un’opinione pubblica che abbia strumenti e interesse per l’arte contemporanea. Quindi gli addetti ai lavori, come oligarchi di un regime in decadenza, si ostinano a compiacersi a vicenda e a rimanere su una nave che sta affondando lentamente (musei che chiudono, pubblico distante, bassissima qualità delle opere in Italia come all’estero, ecc.). Io credo che invece l’arte contemporanea possa avere un grande potenziale.
PC: Ma i voti che tu hai dato ai sopravvissuti (lo sono, quelli di Italian Area?!) sono delle pagelle di molti “scolari somari”. Stai dando i voti a loro in quanto artisti o alla loro arte (sempre che tu non sia convinto che le due cose coincidano)?
LR: I miei voti sono diretti alla loro arte in relazione al contesto, alla storia e alle loro intenzioni. Ho preso una selezione significativa di Italian Area come pretesto esaustivo. Ma questi artisti sono soprattutto il risultato di un sistema italia che negli ultimi 20 anni non ha funzionato come doveva. Sono le vittime spesso inconsapevoli. La cosa significativa è stata che nessuno ha reagito pubblicamente ad uno scandalo di valore (i miei voti bassi), rispetto a quello che dovrebbe essere il vero patrimonio dell’arte italiana (le opere e gli artisti); allo stesso tempo ben due critici (uno giovane e uno senior) si sono indignati per il compenso alto di Germano Celant, e quindi uno scandalo ben meno grave del mio. Questa cosa è significativa per capire quanto opere e artisti siano marginali e poco rilevanti. Anche non riconoscendo autorevolezza alla mia critica, bisognerebbe prenderla sul serio dal momento che molti operatori autorevoli seguono e supportano il mio lavoro.
PC: Di quale malattia soffre l’arte contemporanea? – Io credo sia bulimia (di riti, di visibilità, di mostre, di fiere, di chiacchiere) – (è guaribile? Posologia del medicinale?)
LR: La malattia è l’ignoranza, nel senso di ignorare il reale potenziale dell’arte oggi. L’arte presiede e segue ogni altro ambito e disciplina umana. La cura sarebbe una nuova formazione per il pubblico, gli artisti e gli addetti ai lavori. È una cura che non si risolve con un workshop ma con un approccio continuativo e costante.
PC: Quando parli di valore dell’arte parli di valore in termini assoluti?
LR: Il valore è relativo a opera-contesto-intenzioni. Tale valore tende, senza mai raggiungerla, ad un’oggettività. L’argomentazione critica permette di avvicinarsi a questa oggettività, senza mai raggiungerla fortunatamente.
PC: L’integrità e l’autenticità dell’opera d’arte sono valori assoluti?
LR: Sono valori relativi, ma molto importanti.
PC: Chi stabilisce i criteri di valutazione? La critica, il pubblico, il mercato…
LR: I criteri sono molto superficiali e banali. Proprio per questo il valore dell’opera e dell’arte contemporanea, vivono una forte crisi. Una critica forte, un mercato motivato, un pubblico vero, interessato ed appassionato, potrebbero proteggere ed esaltare i valori in campo. Oggi viviamo l’anonimato della critica (non certo il mio!), un mercato immobilizzato (a parte valori sicuri di altissima fascia), un pubblico (almeno in Italia) disinteressato, lontano e abbandonato.
PC: Mi interessa capire se l’arte contemporanea è (ancora) specchio del proprio tempo: quanto risente, in sé, delle dinamiche sociali, e cosa, a sua volta, è in grado di restituire? Possiamo considerare, questo, valore?
LR: L’arte è sempre specchio del proprio tempo, ma non credo proprio che questo sia un valore se manca la consapevolezza. Ecco, alle parole novità e innovazione bisognerebbe sostituire il termine consapevolezza. Se un giovane inizia a vendere computer vintage davanti a Media World, lo deve fare con consapevolezza, diversamente si tratta di una cosa significativa, ma che, senza consapevolezza, ha un valore molto basso. Il Padiglione Italia curato da Vittorio Sgarbi nel 2011, era molto significativo, ma non credo fosse molto consapevole. Sembrava di entrare in una grande magazzino, con tanta arte accatastata e dozzinale. Era lo specchio di quello che stava succedendo ed era successo, anche nelle gallerie cool milanesi, come se portassimo in una stanza tutta l’arte transitata in una galleria in un certo periodo di tempo. Quel Padiglione dimostrava l’incapacità da parte di critica e pubblico di fare le differenze tra le cose, e quindi si tende ad imbarcare di tutto. Peccato che Sgarbi non fosse consapevole di tutto questo.
(7 ottobre 2014)