Mercoledì otto aprile. Giorno imprecisato della quarta o quinta settimana di quarantena – thanks to Coronavirus – e ho perso anche l’orientamento spazio temporale. Isolamento forzato dentro le nostre case.
“Restate a casa”, tuonano da tutte le parti, restate a casa. Il decreto, la tivvù, la radio, i social le chat gli zii i nonni i parenti. Tutti. L’abbiamo capito! Basta! E dove vuoi che andiamo?! Al lavoro non possiamo andarci, i musei ce li hanno chiusi l’8 di marzo e da allora non si sa più nulla. C’è chi dice che prima della fine di maggio di riaprire non se ne parla proprio.
Noi qui siamo rinchiusi in due. Uno è in cassa integrazione (deo gratia) e l’altro disoccupato. Per via della tutela dei lavoratori della cultura. Vediamo come sarà “tornare alla normalità”.
Oltrepassando un anonimo portone, al numero 26 di Via Dante, giusto a fianco dell’ingresso del ben più noto cinema di Dueville, si entra in un luogo che non ti aspetti. Le pareti consunte da anni in cui l’umidità ha trascorso ad abbracciare l’intonaco incontrano gli sguardi degli astanti. Al termine dell’ampio corridoio, sulla destra, si apre una stanza più grande, con un tetto leggermente spiovente, e alcune botole sul soffitto. La luce lì è più attenuata, occhi di bue illuminano a spot solo alcune porzioni delle superfici impolverate.
Uno spazio privato apre le porte all’opera di DENIS VOLPIANA e CHRISTIAN MANUEL ZANON.
Progetto a cura di Petra Cason Olivares
Il laboratorio di lattoneria della famiglia Cason a Dueville (Vicenza), luogo di lavoro di mani abili e di sapienza artigiana, caduto in disuso da diversi decenni, è rimasto, nel tempo, quasi immutato.
Spazio di raccordo tra l’esterno – il paese e la sua vita – e la quotidianità della casa, l’ex laboratorio conserva al suo interno parte della struttura originale: i tavoli da lavoro, le cassettiere ricolme degli strumenti d’uso – le tenaglie e i martelli riposano velati di polvere – la bocca di fuoco della fucina ormai spenta, brani di stagno che guardano con invidia la lucentezza dei pochi caldieri in rame rimasti.
Negli anni, lo spazio assume una nuova valenza, diventando la cucina di una famiglia numerosa, privata del suo capostipite, Cesare. Nel 2019 la casa viene definitivamente svuotata dei suoi ultimi inquilini, e posta in vendita. La dinastia troverà il suo epilogo altrove.
Il termine arcaico inglese di edera (ivy) è bindwood. E’ una parola composta, che esprime bene ciò che l’edera fa, e per questo è, si chiama. Sta aggrappata al legno, legata, avvinghiata letteralmente al supporto, con il quale, col tempo, diventa una sola cosa, fondendosi quasi in un’entità unitaria. Il legno le serve per arrampicarsi, diventa necessario al suo sviluppo, e per fare questo l’edera getta avanti nuove piccole radici, meno solenni di quelle conficcate nel terreno dal quale la pianta ha preso vita, ma altrettanto necessarie al suo sostentamento.
Bindwood ha trovato dimora, lungo il percorso espositivo di ERRANZA. Del Radicante e di altri segni, in uno spazio raccolto, e quasi totalmente al buio, per permettere la visione intima della “costellazione vegetale” realizzata dall’artista Elisa Bertaglia. I piccoli punti luminosi che, guardando a testa in sù, leggiamo in tutta la loro preziosa definizione, racchiudono porzioni di foglie, sulla carnosità ramificata delle quali sono incise le silhouette di bambine, rannicchiate, fluttuanti, dormienti… Quella che, a tutti gli effetti può ricordare una costellazione celeste – richiamandola nelle fattezze, seppur miniaturizzate – trova in realtà ispirazione da uno scenario vegetale quanto poetico: la pioggia di pàmpini che circonda il pioppeto dietro la casa natale dell’artista. La mitologia greca che narra della nascita di Crespino,vede negli alberi sorti lungo le rive del Po, le sorelle di Fetonte, figlio di Elio e della ninfa Climene, il quale morì per mano di Zeus, nel tentativo di fermare il carro che trasportava il Sole, del quale Fetonte aveva perso il controllo provocando sulla terrà incendi e siccità. Le sorelle Eliadi, accorse a piangere la fine tragica dell’amato fratello, furono trasformate in pioppi, e le loro lacrime in ambra. Ogni infiorescenza è “fermata” a soffitto, da Elisa, in un punto luminoso, che racchiude in sè tanto l’origine quanto la trasformazione, reiterazione del concetto di divenire (o “erranza”) che non ha mai fine. BINDWOOD. Installazione site specific di Elisa Bertaglia per ERRANZA. DEL RADICANTE E DI ALTRI SEGNI. Doppia personale delle artiste Elisa Bertaglia e Enrica Casentini, a cura di Petra Cason Olivares. 31 marzo – 29 maggio Atipografia, piazza Campo Marzio 26 Arzignano (VI)