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Il “post boom” di Independents5 ad ARTVERONA Fiera

Se, nell’ambito economico, politico, sociale, in passato ci fu un periodo di estrema tensione alla crescita che portò la cosidetta “bolla” ad assumere dimensioni mai raggiunte prima, includendo nella sua parabola ascendente atteggiamenti speculativi, l’epoca che si è costretti ad attraversare vede lo scoppio della “bolla”, e la conseguente crisi, ad investire anche gli ambiti che, nel periodo di massimo sviluppo, sembravano inattaccabili, non ultimo quello del mercato dell’arte.
La crisi, però, porta con sé, nei casi migliori, i semi di nuove istanze dalle quali può forse giungere una rinascita.
INDEPENDENTS, progetto ideato da Fuoribiennale per ArtVerona giunto quest’anno alla quinta edizione, propone di “ripartire dal basso, dalla sperimentazione, dalle tensioni giovani e artistiche” presentando, pertanto, nell’ambito della fiera d’arte veronese, progetti legati a realtà autonome, idipendenti, innovative, che contribuiscano a attivare riflessioni e possibili soluzioni che sopperiscano al “post boom”.

INDEPENDENTS nasce con l’intento di dare spazio e visibilità alle realtà artistiche e sperimentali, che si muovono in maniera autonoma ed emancipata rispetto al sistema istituzionale e che sono spesso catalizzatrici di nuove tendenze.

Sul tema de “la Bolla” si confronteranno 25 realtà indipendenti e creative provenienti da tutta Italia, con altrettanti progetti. Ecco l’elenco dei selezionati per l’edizione 2014 (9-13 ottobre prossimi):
AAC / Platform, ADD ART, AplusA, ART COMPANY, ART. LAB GALLERY, BI-BOX ART SPACE, DOLOMITI CONTEMPORANEE, FAGARAZZI E ZUFFELLATO, FUORIBIENNALE, INTERZONA, LA SOCIETÀ DELLO SPETTACOLO, MY HOME GALLERY, NOVELLA GUERRA: C.R.A.C., OLIVARES CUT, PADANIA CLASSIC, PRINT ABOUT ME, RAMDOMRE.TE ASSOCIAZIONE, REVERSE LAB, SGUARDO CONTEMPORANEO, SITE SPECIFIC, SPAZIO MEME, SPONGE ARTE CONTEMPORANEA, START WITH ART, THE FORMAT, TRA Treviso Ricerca Arte, UTILITA’ MANIFESTA, ZONE.

OLIVARES CUT sarà presente a INDEPENDENTS con il progetto “TULPENMANIE. Dibattiti attorno al valore dell’arte“. Una serie di talk che coinvolgeranno differenti professionalità del mondo dell’arte, scambiando riflessioni e punti di vista sul tema in oggetto.

 

 

 

 

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La mia TOP FIVE di Magnum Contact Sheets

Manca poco meno di una settimana alla chiusura di una delle più belle mostre esposte a Vicenza negli ultimi mesi e pertanto vi dedico la mia Top Five, le mie cinque fotografie preferite tra le molte esposte. Forse non saranno le più belle, forse ne avrei potute scegliere altre. Ma si sà, le Top Five sono così: ne devi scegliere solo cinque. Come faceva il protagonista di Alta Fedeltà di Nick Hornby. Ve lo ricordate?
E stavolta ho scelto queste.

Magnum Contact Sheets. In mostra, per riassumere brevemente, foto più o meno famose con a fianco i corrispondenti (semisconosciuti ai più) provini a contatto, foto 1:1 che mostrano un primo sviluppo dei negativi compiuti dal fotografo, dai quali si fa la selezione delle immagini da tenere: per un servizio, una pubblicazione, una mostra… I fotografi scelti sono pezzi da novanta, tra le fila dell’agenzia Magnum, una delle più importanti al mondo, nata nel 1947 in forma di cooperativa spontanea per tutelare i diritti e il lavoro dei fotografi stessi. Scatti dal 1936 al 2010, un excursus storico documentaristico di respiro internazionale.

E ora, via con la Top Five.

Quinto posto: DALÍ ATOMICO di Philippe Halsman
Fotografo di origine lettone, prima di finire in Francia a lavorare per Vogue Halsman aveva studiato a Dresda ingegneria elettrica e si era fatto qualche buon anno di carcere con accusa di omicidio (pare infondata) per la morte del padre. Dagli anni Cinquanta cominciò a produrre ritratti inconsueti, di persone famose, alle quali chiedeva di saltare mentre scattava. La serie di immagini che ne uscì, e si compose in qualche decennio, era intitolata Jump – e Jumpology la “teoria” che in seguito venne costruita sul suo lavoro: disinibire le pose che la vita ci insegna a mantenere per non lasciar trasparire dall’espressione del viso le emozioni. Un salto non ti permette di mentire: e così gli scatti riuscivano a mettere a nudo le ambizioni, le timidezze, forse il vero carattere dei soggetti ritratti.
Ma il salto di Dalì, il pazzo surrealista, uno che era abituato a fare ben altri salti (come ad esempio lanciarsi dalle scale o dalle finestre “per vedere l’effetto che fa”), nello scatto di Halsman mostra qualcosa di meno scontato: più che la Jumpology del fotografo mette in scena (in un altrettanto surreale teatrino fatto di 6 ore di tentativi, 28 lanci di gatti e altrettante secchiate d’acqua, sangue e sudore di quattro assistenti, di Yvonne la moglie di Halsman, del fotografo e di Dalì stesso) la direzione verso la quale la pittura stessa di Dalì si stava dirigendo. La doppia esplosione atomica del 1945 aveva colpito Dalì al punto tale da fargli virare drasticamente il suo modo di fare arte, avviando una reinterpretazione dei legami tra le cose del mondo secondo i principi che uniscono (o scindono) tra loro gli atomi. Infatti, il dipinto che a malapena si vede a destra della foto è il “manifesto pittorico” della poetica daliniana che si può sintetizzare in “mistica atomica”, Leda Atomica: un approccio fisico e scientifico allo scibile, filtrato da un’introspezione in bilico tra il religioso e il superstizioso, con un recupero palese dei dettami rinascimentali nelle forme e nelle strutture compositive.
Ecco, ora vedeteci molto più di un’incredibile acrobazia. (P.s. è pellicola. Non esisteva photoshop. Scordatevi la postproduzione.).

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Quarto posto: INVASIONE DI PRAGA di Josef Koudelka
Quel polso che si sporge, in primo piano, sulla strada di una Praga deserta, non so dirlo se fosse quello di Josef Koudelka, l’ingegnere aeronautico che decise di rendere testimonianza a ciò che stava avvenendo nella sua terra attraverso un mastodontico reportage dell’invasione di Praga. L’orologio riporta l’attenzione al tempo, congelato per sempre nell’immagine fotografica, di un giorno da dimenticare nell’attesa che i carriarmati russi entrassero a distruggere il vento fresco di liberalizzazione che la Primavera aveva portato nella capitale cecoslovacca, in contrasto con le restrizioni dettate dall’impero sovietico.
Koudelka in pochi giorni, nell’agosto del ’68, scattò all’impazzata un numero impressionante di fotografie. Usò pellicola da cinema, anzichè quella fotografica, perchè costava di meno. A Koudelka, che al tempo non era un fotografo di professione ma divenne un esempio per i fotoreporter venuti dopo di lui, questo gigantesco lavoro di documentazione costò l’esilio forzato dalla sua terra per oltre vent’anni, l’abbandono dei propri genitori che lo videro una sola volta dopo la sua dipartita, e una fama che gli venne giustamente attribuita, seppure a posteriori, da parte di Magnum. L’agenzia si mise sulle sue tracce finchè riuscì a scovare l’identità del “fotografo praghese”, che così aveva firmato i numerosi scatti giunti fortunosamente sulle scrivanie dell’allora presidente Elliot Erwitt. Dopo Quarant’anni venne pubblicato un libro che raccoglie tutti gli scatti più importanti realizzati in quell’occasione, che commuove Koudelka ancora oggi, mentre lo sfoglia.

koudelka_1

Terzo posto: 11 SETTEMBRE 2001 di Thomas Hoepker
Quando il primo aereo andò ad infilarsi dritto come un fuso dentro ad una delle due Torri Gemelle nel cuore di una radiosa New York, Hoepker si trovava nel versante cittadino opposto al Word Trade Center. Lo chiamarono da Magnum: doveva muoversi, per andare a raccogliere testimonianza di ciò che stava avvenendo. Hoepker si precipitò per le strade di Manhattan in auto, tentando di avvicinarsi – invano – il più possibile alla zona che in seguito fu ribattezzata “Ground Zero”, ormai presidiata dalla polizia. Costeggiando l’East River, continuando a tenere d’occhio il fumo all’orizzonte che si alzava alto sopra le sagome dei grattaceli, si fermò a una piazzola di sosta, a scattare, dal finestrino dell’auto, il cielo azzurro di quella luminosa mattina di settembre coperto da una spaventosa nube grigia.
Il giorno dopo, negli studi di Magnum, le diapositive di Hoepker parevano ben poca cosa di fronte a quelle dei colleghi che si trovavano al momento della tragedia proprio sotto le Torri. Ma a distanza di alcuni anni i suoi scatti vennero ripresi e rivalutati, e questo sotto, in particolare, divenne una delle foto più conosciute e discusse di Hoepker. Perchè qui le Torri sono “relegate” al background, ma in primo piano non ci sono solo dei giovani seduti a chiacchierare. C’è l’emblema di un’America bella e invincibile, che niente doveva temere, colta nell’attimo prima di prendere consapevolezza dell’accaduto, quando capisce di trovarsi di fronte alla fine di un’epoca che nessun capitalismo potrà più riconsegnarle.

11sept-hoepker

Secondo posto: CARNIVAL STRIPPER di Susan Meiselas
Susan trascorse le sue estati tra il ’72 e il ’75 girando mezza America con l’idea di scattare fotografie alle ragazze che, per sbarcare il lunario, si spogliavano negli spettacolini che popolavano le piccole città del New England, Pennsylvania, Sud Carolina. Meiselas non fotografò solo le “ballerine”, ma anche i gestori di questi improbabili carrozzoni, i clienti paganti e i fidanzati delle ragazze, facendone uscire un quadro decadente, un po’ kitsch ai nostri occhi, ma anche con un suo fascino, allegro a tratti.
La fotografa sviluppava i negativi ogni settimana, ma accadeva a volte che, quando tornava a bussare alle porte dei camerini della carovana per regalare alle ragazze alcuni loro ritratti, non le aprisse nessuno, perchè da un giorno all’altro queste avevano la buona abitudine di scappare con qualche “fidanzato”, chissà forse inseguendo il sogno americano, forse solo un futuro diverso.
La foto che preferisco è questa sotto. Non è stata scattata durante uno degli spettacoli, ma nell’intimità del camerino, quando le ragazze si preparavano allo specchio, o si riposavano tra uno spogliarello e l’altro fumando e chiacchierando, dimenticandosi che Susan era lì con loro e scattava con la sua Leica portatile, ritraendo i loro corpi svestiti quanto le loro espressioni stanche.

meiselas

Primo posto: SABINE di Jacob Aue Sobol
La ragazzina paffuta delle foto è Sabine, la fidanzata di Sobol. Di origini danesi, Sobol andò in Groelandia nel 1999, per fotografare il villaggio sperduto di Tiniteqilaaq. Doveva rimanerci solo per qualche settimana, invece durante quel soggiorno conobbe Sabine, e si innamorò di lei. Tornò in Groenlandia alcuni mesi più tardi, e ci restò per i due anni successivi, diventando cacciatore e pescatore. In quel periodo la macchina fotografica la usò soprattutto per ritrarre la sua amata, che fa le facce strane di fronte all’obiettivo, che si passa sul corpo nudo una pezzuola di pelle di foca, che accende delle candele sopra il davanzale della finestra per sciogliere il ghiaccio all’interno dei vetri. Mentre disegna un cuore con le due mani davanti al suo volto.
Mi provoca una fitta tutte le volte che la guardo. I due si lasciarono, alla fine. E le foto scattate nella scarna camera da letto sepolta tra i ghiacci artici, sui materassi di gommapiuma a fianco dei fucili per ammazzare le foche, odorosi del merluzzo bollito che la madre di Sabine preparava ai due per colazione, divennero la “memoria del cuore”, come disse Sobol in un’intervista fattagli ad Arles alcuni anni più tardi, durante il Festival della Fotografia.
Un libro pubblicato nel 2004, e intitolato semplicemente “Sabine”, racchiude la loro storia d’amore in bianco e nero, adagiata nel racconto più ampio della complessa e semisconosciuta cultura groenlandese.

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Ecco.
MAGNUM CONTACT SHEETS. Gallerie di palazzo Leoni Montanari. Contrà Santa Corona 25, Vicenza.
La mostra è aperta fino a domenica 11 maggio, dalle 10 alle 18.
Non capitate a Palazzo Leoni Montanari dopo le 17.30 però. Perchè non vi faranno entrare neanche se canterete in turco.

 

 

 

 

 

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OPEN STUDIO – Vicenza scopre gli studi d’artista

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Scoprire cosa si cela all’interno di uno studio d’artista non è sempre così semplice. Spesso questi sono luoghi suscettibili del “senso dell’ordine” di chi ci crea all’interno, inavvicinabili dai “non addetti ai lavori”, frequentati dai suoi avventori ad orari improbabili, semisconosciuti…

Olivares cut assieme a The Soul in The Mirror (alter ego della blogger Teresa Francesca Giffone) provano a trasmettere la loro curiosità alla città di Vicenza. Abbiamo rivolto a diversi artisti l’invito a partecipare alla “puntata zero” di OPEN STUDIO, e al pubblico vicentino di avventurarsi tra opere d’arte e artisti disposti a far conoscere il proprio lavoro.

OPEN STUDIO zero.
Dalle ore 16 alle 20 gli spazi sono aperti al pubblico a ingresso libero.
Durante tutto il pomeriggio si susseguiranno alcuni eventi. Questo il programma completo:

SARTORIA LARA COSSÈR – Contrà San Marco 39
Lara Giuriati presenta una capsule collection di abiti studiati su alcune campionature di Mirella Spinella. Enrico Larese Filon curerà la selezione musicale.
Manuel Pablo Pace espone alcuni lavori della sua più recente produzione artistica.

SPAZIO 6 – Contrà San Pietro 6
Lo spazio, sorto nelle stanze dello storico studio fotografico di Attilio Pavin, propone dalle 10.30 alle 16.30 una MARATONA FOTOGRAFICA alla quale ci si può iscrivere in loco.
18.30 Inaugurazione della mostra fotografica GENIUS LOCI di Marco Fogarolo.

DER RUF – Contrà Porta Padova 89
Nello studio dall’atmosfera berlinese Patrizia Peruffo esporrà i suoi taccuini di design, mentre Giusto Pilan presenterà la sua ultima produzione pittorica e di incisioni.
17.30 Mirko Cremasco presenta “VIAGGIO”, performance con voce narrante e istallazione.

INCIPIT – Strada Ponti di Debba 5
Questo splendido open space di retaggio industriale ospita gli studi di Andrea Garzotto, Bruno Lucca, Daniele Monarca e Valentina Rosset.
Per l’occasione il Collettivo Jennifer rosa (esule per un giorno dallo spazio VOLL) presenterà in anteprima la proiezione della videoinstallazione “GEMELLI” (in loop per tutto il corso della giornata).
19.30 “IL CERCHIO E IL LUPO”, spettacolo teatrale di Davide Dal Pra

PER INFO scrivere a petra.cason@gmail.com / tfgiffone84@gmail.com

Da “The Soul in The Mirror”
APPROFONDIMENTI SUGLI SPAZI
APPROFONDIMENTI SUGLI ARTISTI

MAPPA DEGLI SPAZI
https://mapsengine.google.com/map/viewer?mid=zvLWjzpCoMtE.kgVhFgBZs-nM

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Iconografia di una Rivoluzione

Eugène, detto Jeff, era rientrato tardi, la sera prima. Aveva atteso che gli animi in piazza si calmassero, dopo l’ennesimo giorno di sommosse e scontri. Come negli ultimi tre mesi, anche quella notte non riuscì a dormire granchè, il frastuono fuori era infernale e non prometteva nulla di buono. Il popolo, che aveva alzato lungo tutta la piazza enormi barricate costruite alla bell’e meglio, con bancali presi dai mercati e assi di legno recuperate come poteva, si era insediato quasi stabilmente, prima occupando il municipio e, una volta abbandonato quello, dando vita ad una sorta di enorme accampamento variopinto sul selciato.
Nelle ultime ore di quel giorno il numero di uomini e donne in piazza era aumentato esponenzialmente, quando si muoveva pareva si scuotesse un’onda anomala. Lo si vedeva bene dal tetto del palazzo principale della piazza, nonostante i fuochi accesi qua e là impedissero talvolta una visione chiara di ciò che stava succedendo. Il fumo denso che scaturiva dagli incendi era un mezzo rudimentale ma efficace, usato dai manifestanti per impedire ai gendarmi di avvicinarsi a loro e arrestarli. La violenza era giunta al limite: si sparava per strada, il numero di morti era cresciuto nell’ultima settimana. A nessuno venivano risparmiati i colpi, né lame di baionette nello stomaco, né manganellate in faccia. Ripristinare l’ordine, ormai era diventata una priorità. Ma a che prezzo?
La lotta dell’intera cittadinanza contro la politica filoconservatrice del capo di governo era giunta al limite. Ormai non si poteva più tornare indietro.

Questa l’opera che egli fece, ritraendo gli avvenimenti di quei giorni drammatici.

  • EUGENE DELACROIX, La libertà che guida il popolo. Parigi, 1830.
  • JEFF MITCHELL, Manifestanti in Piazza dell'Indipendenza sopra al monumento dedicato ai fratelli Kyi, Shchek, Khoryv e la sorella Lybid, fondatori della città di Kiev, 2014.

 

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Chirurgo della luce

Al momento di andarsene, Andrea Rosset, primo ospite del Take Care Corner ha detto che questa chiacchierata di oltre un’ora e mezza avremmo potuto farla a casa. Ma, assieme a me, ha convenuto che non sarebbe stato lo stesso. Stavolta non gli è bastato, come fa di solito, scendere due rampe di scale, aprire il portoncino d’ingresso, uscire in strada, fare circa sette passi sotto la linea delle mie finestre e suonare il campanello, per venirmi a raccontare del suo lavoro artistico. La scelta stavolta ricadeva nell’accettare un invito che prevedeva un coinvolgimento diverso. Si trattava, ossia, di attivare un discorso “ravvicinato” sull’arte (gli interlocutori eravamo noi due) ma potenzialmente sotto gli occhi di tutti. L’idea del Take Care Corner è stata quella di traslare in un luogo affollato, con un pubblico vario e di passaggio com’è quello di una fiera, una modalità di interazione che mantenesse idealmente una dimensione quasi intima, funzionale all’ascolto. Prendendomi cura dell’artista (in questo caso prestando ascolto, attenzione, alle parole dell’artista sul suo lavoro) mi prendo cura dell’arte.

“Chi è, la donna della foto?”. E che importanza ha? La prima domanda è mia, la seconda è il condensato della risposta di Andrea. Per parlare del ventennale rapporto con la fotografia di Andrea ho scelto di cominciare lasciando fare a lui stesso delle considerazioni su un suo progetto in particolare, Restrain. E per farlo ha portato con sé una piccola stampa, trenta centimetri per quaranta nella quale è rappresentato il volto di una donna piegato leggermente da un lato, lo sguardo basso sembra seguire il flusso dei pensieri; le spalle che appaiono nella foto sono nude, i capelli escono da una macchia d’oscurità, in cui tutta la sagoma è immersa. E’ difficile, guardando un ritratto, non porsi interrogativi sull’identità del soggetto, come se un’informazione biografica consegnasse un valore aggiuntivo al fine della contemplazione dell’opera. Ma non è questo il punto, non per Andrea.
La ricerca in merito alla fotografia contemporanea di Andrea si compie sul livello del linguaggio: attraverso un lavoro lungo e meticoloso, da tempo lui opera per trovare una modalità esecutiva che conceda al fotografo di allontanarsi sempre più con migliori esiti, dal “predominio dell’occhio”. Sembra un paradosso, eppure nel distaccarsi dall’operazione meccanica che il mezzo implica egli ha la possibilità di dedicarsi con maggiore dedizione alla “ricerca della fotografia”.

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