Ho bisogno di una memoria storica.
Mentre pensavo a come raccontare del mio “adieu” a Metamorfosi Gallery, mi è tornata alla mente quella famosa cantilena di Marina Abramovic, in cui lei, chiusa la relazione con Ulay, il suo inseparabile compagno, nella vita e nell’arte – ambiti che così spesso coincidevano, o si fondevano indissolubilmente – recitava come un mantra, all’interno di non ricordo più quale performance. Bye-bye, Extremes. Bye-bye, Purity. Bye-bye, Togetherness. Bye-bye, Intensity. Bye-bye, Jealously. Bye-bye, Structure. Bye-bye, Tibetans. Bye-bye, Danger. Bye-bye, Unhappiness. Bye-bye, Solitude. Bye-bye, Tears. Bye-bye, Ulay.
Con la separazione terminava un periodo storico, per Marina e Ulay. Il tempo delle performance estreme, della tensione emotiva, del rapporto simbiotico e folle che sperimentava gli eccessi. Finiva una fase importante della loro vita, e della loro carriera. Poi via, ognun per sè.
Ora. Certo che non voglio paragonare la mia dipartita da un’associazione alla separazione di due dei più grandi performer e artisti degli ultimi anni ma, credete (alla mia vena melodrammatica, soprattutto) le separazioni, alla fine, si assomigliano un po’ tutte.
Il mio rapporto con la vita e con l’arte intese come un legame simbiotico hanno fatto sì che io non sia mai stata in grado di vedere ciò di cui mi occupo come un passatempo, per cui riversare me stessa all’interno di un progetto in cui credo non è stato solo naturale, ma inevitabile.
Per questo la decisione di lasciare un progetto al quale ho dato i natali, ho dedicato anni di energie, idee e tempo, per creare, per intessere relazioni, è paragonabile all’abbandono di un amante, con tutto il carico di emozioni che una separazione comporta.
Il 15 maggio cadeva il terzo anniversario della fondazione di Metamorfosi Gallery. E io ho deciso, armi e bagagli, di uscirmene, di lasciare.
Lascio, dopo averci dedicato tutto l’amore di cui sono stata in grado, per voltare pagina, per cambiare metodo, per andare avanti.
Tre anni che sono stati per me di intenso lavoro, non solo con Angela Stefani ed Elena Piazza (con le quali all’inizio condividevo anche Palazzo Leoni Montanari) ma anche assieme ad una rete fittissima di artisti, curatori, istituzioni, partner, amici cari, i quali hanno collaborato, anche fuori dalle fila, a rendere Metamorfosi Gallery quello che è stata.
Nel 2010 mi chiamarono un artista, Emjl Berdin, e l’allora assessore alla cultura del Comune di Dueville, Michele Cisco, per parlarmi della piccola esposizione, Metamorfosi, che raccoglieva le opere degli artisti italiani, di Dueville, e degli artisti di Schorndorf (la cittadina tedesca a poche decine di km da Stoccarda) e per chiedermi di occuparmene.
Ecco quanto. Non avrei creduto che una piccola mostra sarebbe diventata il pretesto (e avrebbe dato il nome) per un progetto a lungo termine, e che divenne, nel 2012, un’associazione, in occasione di K/R/S, la grande mostra che realizzammo a Caldogno, nello spazio espositivo C4, un bunker della Seconda Guerra Mondiale. Il gemellaggio tra Dueville, Schorndorf e Tulle è continuato per anni, e prosegue tutt’ora, non senza difficoltà. Non ricordo più quanti artisti parteciparono, con centinaia di opere, due camion per trasportarle in giro per l’Europa e migliaia di km di spostamento.
Quel gemellaggio produsse mostre grandi e piccole, come Micrometamorfosi alla biblioteca di Dueville la prima edizione, e nel 2013 anche ospiti di Spazio Nadir a Vicenza. Il sodalizio con la Germania fu lungo. Un anno (nel 2010) portai le opere da esporre alla Notte dell’Arte (la Kunstnacht di Schorndorf) stivate dentro un cassone che pareva il baule di un enorme trasloco.
L’anno successivo, sempre a settembre, io e Ale affrontammo in tre giorni un viaggio di quasi venti ore, tra andata e ritorno, con la Panda colma di quadri. Sembravamo degli esuli, o dei ladri di opere d’arte. Ma la mostra in Germania fu spettacolare.
Nel 2012 salimmo tutti, io, Angela ed Elena, e vennero con noi anche alcuni degli artisti che esponevano e qualche amico: Andrea ed Elena, Marco con Marianna, Hzg. Ci ospitarono gli amici tedeschi. Doro, Uko, Hardy, EBBA. Fu un viaggio memorabile.
Ora non ha neppure molto senso cercare di disporre i ricordi in ordine cronologico. Perchè sapete come funziona la memoria, confonde le cose secondo criteri che sono del tutto arbitrari.
Per cui racconto di GHISA Art Fusion come fosse un progetto a se stante, quando invece si è protratto per tre anni, mischiandosi nel frattempo ad altri progetti. Ideato assieme ad Anna Zerbaro, Ghisa (che inizialmente doveva chiamarsi Ghisa e Contrabbasso, perchè univa le location scledensi dell’archeologia industriale – altra mia passione, dai tempi del master all’Università di Padova, in conservazione del patrimonio industriale – alla parte musicale che in un primo momento fu preponderante) venne portato avanti con MG.
Poi si insinuò l’arte, “Contrabbasso” fu estromessa quasi subito a favore di un più ampio “art fusion” e Alessandro Giacomelli (che al tempo era il mio compagno e che non smise mai di prendersi cura della grafica dei miei progetti) ideò uno dei loghi più belli di sempre, realizzato pensando alle strutture in ghisa dell’Iron Bridge, il ponte che attraversa il Severn. Uno dei più antichi ponti in ghisa del Regno Unito, il simbolo dell’evoluzione della tecnologia protoindustriale, che aveva una trama, nelle nervature che sorreggevano il suo arco di 30 metri, che ci piaceva moltissimo. Hzg, con quel logo, realizzò sulle borse di cotone delle serigrafie perfette, in un grigio cupo che ricordava proprio il tono del metallo.
Durante i tre anni di GHISA passarono per il Lanificio Conte, lo Shed, il Giardino Jacquard e Fabbrica Saccardo moltissimi artisti, pittori, scultori, incisori, fotografi, musicisti, performer, che a nominarli tutti rischierei di fare un elenco troppo lungo per un post come questo. Ma credo che molti di voi ricordino le splendide domeniche sera passate a Schio in nostra compagnia a scoprire, passo passo, la rassegna che evolveva.
L’amicizia con Mattia Stella portò al coinvolgimento di Metamorfosi Gallery all’interno degli eventi che portarono Vicenza, nel 2013 al primo Vicenza Pride. Ci furono quattro piccole ma bellissime mostre, per la rassegna Art Coming Out, che vennerò ospitate nei bar del centro storico di Vicenza, per cominciare a parlare di omossessualità in termini meno criptici o banalizzanti, ossia attraverso il linguaggio incisivo e allo stesso tempo delicato dell’arte. E poi la grande mostra al B55, la collettiva alla quale aderirono artisti da tutta Italia: Io sono diverso. Cristina Maraschin per quell’occasione aveva seguito tutta la grafica, ideando il logo che divenne, anche in questo caso, un simbolo che sa rimanere nel tempo, a memoria della partecipazione di MG ad un evento così importante per la nostra città.
E poi venne il tango. Dopo aver appeso al chiodo le scarpe delle danze scozzesi (lo so, in pochi di voi sanno questo aspetto del mio passato) mi gettai anima e corpo in quel ballo malinconico e intenso, che si crede di ballare in due, ma in realtà è in grado di mettere in comunicazione con se stessi in un modo così profondo da sconvolgere.
Al solito, la mia passione non è in grado di rimanere solo mia. Devo coinvolgere chi mi sta attorno nel vortice. Pertanto, prima portai più di un amico ai corsi, qualcuno fuggì subito, altri – come Caterina – rimasero e ancora condividono con me questa vocazione. Ma poi (ancora Dueville) l’occasione di avere il Busnelli Giardino Magico a disposizione era un’attrattiva troppo grande per non voler organizzarci una milonga. Detto, fatto: l’ideazione di Nocturna Tango. Che quest’anno è arrivata alla quarta edizione, e nel frattempo si è spostata da Dueville a Vicenza, dagli amici del Bocciodromo che hanno accolto la rassegna a braccia aperte (alla quale ha contribuito con un aiuto prezioso Luisa Sabbatini), e ha fatto suonare ottimi musicisti e valenti musicalizadores, esposto mostre sul tango, fatto assaggiare piatti argentini, proiettato film a tema, fatto ascoltare ottima musica e fatto ballare centinaia di ballerini.
Ma ora. E’ cambiato il vento. Lascio Metamorfosi Gallery. Bye bye Ulay.
Provo a immergermi, attraverso Olivares cut (il mio personale “baule”, come quello con le opere d’arte che trascinavo per gli aeroporti di mezza Europa), immergermi ancora più profondamente nell’arte, provo a prendermi cura ancor più professionalmente di quanto sia stata in grado di fare finora degli artisti e della loro arte. Perchè (lo ribadisco a me stessa, sempre) avere un contatto con un artista non significa avere un numero di telefono in agenda. Ma significa guadagnarsi la fiducia attraverso la professionalità, dedicando il giusto tempo al lavoro di ciascuno, alla conoscenza del percorso artistico di ciascuno. E questo avviene tanto in uno studio quanto al di fuori, anche di fronte a un caffè o a un bicchiere di vino, portando l’arte dentro una quotidianità imbevuta di questa urgenza (nel senso di passione incondizionata) di fare, di curare, di fondere l’arte con il quotidiano.
Il ringraziamento, dovuto, va ai numerosi compagni del viaggio che per un po’ del mio percorso ha preso il nome di Metamorfosi Gallery, in primis Angela ed Elena.
Io continuerò a tenervi aggiornati dei miei spostamenti. Quasi sempre è per raccontare a voi. Ma sappiate che talvolta lo faccio per non permettere a me stessa di dimenticare.
È bello sapere che esistono Donne così. Grazie