Il 31 marzo 2015 l’Italia ha visto la chiusura definitiva dei cosiddetti OPG, gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari. Strutture obsolete che riflettevano lo stato dell’arte di un’istituzione ormai fuori dal tempo. Uno strascico senza più un vestito, se quel vestito lo chiamiamo manicomio.
Un vestito dismesso nel 1978, quasi 40 anni fa, a seguito della Legge 180, ma che appunto, nel dare fine a una storia lunga secoli, ha “dimenticato” quell’appendice scomoda, rimasta per un altro mezzo secolo invariata tranne nel nome: non più manicomio criminale, venne ribattezzata ospedale psichiatrico giudiziario.
Negli OPG si viene internati a seguito dell’applicazione della legge 222 del codice penale che dice in breve : “Nel caso di proscioglimento per infermità psichica è sempre ordinato il ricovero dell’imputato in un ospedale psichiatrico giudiziario per un tempo non inferiore a due anni.” Nella maggior parte dei casi questi due anni si prorogano all’infinito trasformandosi in un vero e proprio ergastolo bianco. Questa procedura che è oramai una sorta di routine non è nient’altro che lo strascico del vecchio codice Rocco del 1930, in cui il folle era considerato incurabile, pericoloso, irresponsabile e quindi da isolare dalla società e da rinchiudere per sempre in una istituzione manicomiale. Oggi giorno questo concetto è ampiamente superato per una migliore conoscenza delle patologie psichiatriche, ed anche da una efficace farmacologia in grado di ridare al malato una responsabilità, una capacità critica e di giudizio e un comportamento adeguato alle circostanze. Tuttavia l’Italia è rimasta oggi in Europa l’unica nazione dove alla diagnosi di vizio totale o parziale di mente dell’imputato, al momento in cui ha commesso il delitto, il reo rimanga ancora in un ambito penale. Negli scantinati della società, quali possono essere gli OPG, la bonifica psicofisica del recluso ammalato è soltanto un’ ipotesi legislativa che non trova alcun riscontro obiettivo nella realtà. Non sono gli orfanotrofi, le case di rieducazione, gli ospizi per anziani o le carceri il traguardo dell’esclusione, ma bensì i cari e vecchi “ manicomi criminali “, veri luoghi di degradazione umana, dove la violenza dell’uomo sull’uomo tocca vertici abissali.
Franco Guardascione è un fotografo di reportage. È napoletano d’origine, e da anni vive e lavora a poche decine di km da Firenze. A metà degli anni Ottanta fu un tragico episodio familiare a farlo scontrare con la realtà delle malattie mentali e a fargli conoscere i luoghi all’interno dei quali le patologie manicomiali venivano “curate”, luoghi che avrebbero accolto il fratello maggiore.
Il libro fotografico “Gli esclusi”, di Luciano D’Alessandro, che negli anni Settanta spalleggiò la legge Basaglia per la chiusura dei manicomi fu per Franco una folgorazione, e l’input alla realizzazione di un progetto personale che da quel tema partisse.
Nel 2008 Guardascione ha dato il via ad “Internauti”: quattro anni trascorsi ad ottenere i permessi necessari, l’hanno portato all’interno dei sei ospedali psichiatrici giudiziari d’Italia. Castiglione delle Stiviere, Montelupo Fiorentino, Reggio Emilia, Aversa, Napoli e Barcellona Pozzo di Gotto (Messina). Il risultato è un corposo reportage: un avvicinamento lento e progressivo verso i protagonisti di questi spazi, gli uomini e i luoghi che si sono vissuti l’un l’altro.
Guardascione, ancora, scrive: “In ogni OPG in cui sono entrato ho sempre percepito la sensazione che le mura, scrostate e malandate, urlassero silenziosamente il dolore assorbito negli anni dalle persone che vi avevano soggiornato all’interno. Ho avuto lunghe ore di dialogo con tanti internati, parole che mi svuotavano, demolivano certezze arricchendomi con altre, ignote fino a quel momento e tornavo a casa stanco e commosso.
Le foto sono venute fuori naturalmente, senza forzature e senza far subire stress ai
soggetti. Ho ascoltato tante storie, toccanti, ingiuste e strazianti, ed ho capito che in questi istituti non vi sono rinchiusi dei mostri come l’opinione pubblica ne è perlopiù convinta, ma persone sfortunate, con pesi così grandi da esserne schiacciati e sommersi così profondamente da scomparire dalla società, che per pura comodità, sigilla il tutto dietro tre mandate di chiavistello rugginoso.”
Di fondo, nella drammaticità di alcuni di questi scatti, vi si legge un costante rispetto per le tragedie umane e personali delle quali il fotografo è al cospetto.
In ogni istituto risiedevano circa 150-200 detenuti, la maggior parte dei quali macchiati di reati lievi o banali. Malati psichiatrici, i più di loro con alle spalle piccoli reati. Ma che la società non è in grado di tutelare, di proteggere, nemmeno da loro stessi, per i quali, fino ad ora, non si è tentata un’integrazione, in quel mondo che tende ad escludere i più fragili, quanto piuttosto un progressivo allontanamento da
essa, rendendo queste persone dei reclusi, respinti, ignorati, sedati.
LA VIDEOINSTALLAZIONE
Dal reportage “OPG” è nata, grazie alla collaborazione di Guardascione con il fotografo Marco Dal Maso, la videoinstallazione “GLI INTERNAUTI”, un’opera per certi versi “partecipativa”, che proietta lo spettatore letteralmente all’interno del lavoro fotografico. Un progetto pensato “uno a uno”, per una visione intima e personale. E’ uno spazio cubico, di dimensioni limitate, che ricorda le celle dei vecchi manicomi, ad ospitare la proiezione senza soluzione di continuità delle immagini che compongono il progetto. Un tentativo di entrare negli spazi, vivere i luoghi, immedesimarsi con lo straniamento dei suoi abitanti, empaticamente,
drammaticamente sentire la tensione che è sottolineata, evidenziata, dal suono greve, dal rumore invadente, costante, che non accompagna solamente la visione, ma la amplifica. In allegato un breve esaustivo estratto del video che andrà a comporre l’installazione.
La videoinstallazione sarà visibile al pubblico. A breve verranno comunicate le date e i luoghi dell’esposizione.
Qui l’articolo apparso su IL FATTO QUOTIDIANO in merito al progetto.
Trailer de “GLI INTERNAUTI”
Fotografia Franco Guardascione
Montaggio video, contenuti audio Marco Dal Maso
Progetto espositivo a cura di Petra Cason
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RASSEGNA STAMPA SU “OPG”
Repubblica.it
Redattore sociale
Qcodemag.it
Michelucci.it