Incontrai quel tale in treno. Stavo viaggiando alla volta di Treviso e mi imbattei in un uomo anziano, un’ottantina d’anni, all’incirca. Aveva una barbetta lunga e appuntita, da capro, e gli occhi vispi, che contrastavano con la pelle rugosa che li contornava. Con quelli scrutava l’intero scompartimento, saltando da un passeggero all’altro come cavallette affamate. Quando si fermò sui miei occhi cominciò a raccontare, senza un preambolo. E prese a narrarmi della Casa di Follina.
Mi disse che l’uomo che viveva in quella Casa era un artista, uno di quelli con la A maiuscola, e che la parlata, cadenzata e musicale, tradiva le sue origini emiliane. Ma il vecchio non si dilungò molto su dettagli come questi. Preferì raccontarmi di come, a Follina, la gente del posto avesse cominciato a vedere le cose più strane, dall’arrivo dell’Artista, come delle apparizioni…
Al calare del sole comparivano, tra i campi dietro Casa, esseri strani, come delle ombre. C’era chi si ostinava a credere fossero scherzi della mente, magari di chi aveva bevuto qualche bicchiere di troppo…Ma altri no, sostenevano fossero reali. Dicevano fossero sgusciate fuori dalla Casa attraverso le fessure tra i mattoni, appiattendosi come i topi o i serpenti, ma che, una volta giunte all’aperto, queste sagome scure si fossero sollevate in piedi assumendo fattezze umane. Parevano dei viandanti, avvolti in un pesante mantello, ma dicevano ci si potesse guardare attraverso: avevano un buco all’altezza del ventre, ma non i mantelli! Gli interi corpi di questi misteriosi signori. Gli si poteva guardare attraverso, e scorgere gli alberi e i campi dietro di loro.
Qualche temerario riuscì perfino a scorgere l’interno, della Casa: un ragazzino raccontò di aver visto cani correre in verticale sulle pareti, saltare e rincorrersi tra gli stendardi appesi, lasciandosi dietro, nel loro balzare, scie di colore nerastro. Stormi di uccelli migratori vivevano sulla mensola sopra il camino, e passavano le giornate intingendo le zampe nel lievito madre (un intruglio misterioso di colore e acqua che l’Artista teneva costantemente apparecchiato sopra il tavolo da lavoro) come fossero gambe di sedano in pinzimonio per poi saltellare per lo studio riempiendo di macchie le carte ben stese sul pavimento. “Avrebbe dovuto vedere quelle carte!”, diceva il vecchio. L’Artista le aveva trovate in vecchi archivi polverosi e, su quelle, le bestiole starnazzanti andavano a posarsi. Ora si appollaiavano sulle trame delle stoffe che pendevano dal soffitto, piramidi di piume in bilico. Ora invece compivano piccole migrazioni tra lo studio e il salotto: avevano confuso in dentro con il fuori, e non c’era verso di farli smettere nella loro buffa impresa. Alcuni di loro, compiendo questi insoliti traslochi, si portavano dietro grossi tronchi, o massi franati. Li tenevano legati a dei fili sottili ed ogni filo era stretto nel becco. Le partenze erano sempre complesse, e nella foga di alzarsi in volo capitò che un tronco andasse a sbattere sui barattoli di colore che stavano sopra la cassettiera, macchiando le tele sottostanti.
Il vecchio aveva sentito dire che, a seguito di queste migrazioni, un paio dei giganti che vivevano nei pressi delle travi a vista della Casa, di notte giocassero a dadi la sorte dei poveri pennuti sbadati. E che per dadi usassero i monoliti su cui l’Artista era solito dipingere i suoi paesaggi, scombinando gli emisferi, e costringendo tutti gli abitanti di quegli insoliti mondi a camminare improvvisamente piedi all’aria.
Qualcuno raccontò di aver visto, una notte, levarsi nel campo dietro Casa un bagliore di fuoco. L’Artista lo teneva attizzato mentre Lui, il suo fedelissimo cane, correva tutt’attorno in preda ad un’eccitazione selvaggia. Da lontano, sostenevano altri, l’Artista sembrava divenire un tutt’uno con l’enorme braciere. I suoi occhi erano tizzoni ardenti e la sua barba, in un lampo, prese ad ardere con una foga tale che l’intero viso andò in fiamme. Il fuoco divenne così intenso e alto che le lingue crepitanti si potevano scorgere dai paesi attorno a Follina…
Giunti al capolinea il vecchio scese dal treno senza salutarmi. Dalla tasca del cappotto però gli era caduto un biglietto. Era un invito. Alla mostra di Deriva “CASA. Fuochi Traslochi Monoliti Stendardi”. Lo ripiegai con cura e impressi nella mente la data dell’inaugurazione.
Testo pubblicato nel “Giornale alla Deriva n. 1”, in occasione della mostra CASA. Fuochi Traslochi Monoliti Stendardi. 6 marzo – 22 aprile 2015
Ex Collegio San Giuseppe (ex Lanificio Andretta), via Sanavalle 14 – Follina (TV)