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- 08, 2025 - MEMORIES - 0 commenti
Saudade, o l’arte impossibile di staccare in vacanza
Sarò onesta. Sono una frana nell’arte di “staccare” in vacanza.
Me l’ero ripromessa anche stavolta, forse più di ogni altra cosa, come buon proposito da mettere in valigia nel mio peregrinare degli ultimi mesi.
Alleggerire la testa, placare il cuore, riposare il corpo.
Ma mi rendo conto che, alla fine, fallisco quasi ogni volta. La mente torna esattamente a quel pensiero che vuoi zittire, il cuore continua a sobbalzare come un tamburo africano, e le svariate ore di cammino ti fanno rientrare alla sera stremata. Ma con gli occhi quantomeno riempiti da scenari nuovi. Le giornate in viaggio ti fanno muovere con un ritmo che non è quello che ti pulsa nelle vene per il resto dell’anno. Trovi un tempo più “tuo”, che ti fa mangiare solo quando hai fame, ti fa bere aperitivi fuori tempo massimo, e ti concede soste imbarazzantemente lunghe in una piazzetta lisbonese defilata, facendoti disegnare sul quaderno che usi per scrivere la facciata di due anonimi palazzetti che d’ora in avanti resteranno impressi nei tuoi occhi più della vista dal belvedere sulla costa.
In questi giorni mi è tornato in mente un episodio piuttosto lontano nel tempo, che avevo quasi rimosso, e invece pare di no. Nell’estate dei miei 18 anni, il mio “amato” dell’epoca aveva preso armi e bagagli ed era partito per l’interrail alla volta dei paesi più a est dell’Europa. Ricordo vagamente che ci fosse Praga e qualche tappa in Polonia tra le mete, da affrontare a muso duro con lo stuolo di amici dell’epoca, tutti maschi, tutti scatenati. Nei 21 giorni di viaggio il ragazzo non si è premurato di farmi nemmeno una telefonata. Non ricordo siano arrivate cartoline. Ricevevo qualche aggiornamento sulle loro scorribande dalla sorella di un membro del gruppo, sporadiche notizie sul fatto che fossero ancora – in un modo o nell’altro – ancora tutti vivi. Erano i bei tempi di “cellulare questo sconosciuto”.
Se ci ripenso, ora, mi prenderei a schiaffi per non aver avuto un po’ di amor proprio e averlo mandato al diavolo al suo ritorno. Perché poi è tornato. Ah sì, è tornato. Per rimanere per i 14 anni successivi.
Cosa c’entra questo episodio con lo “staccare”? Aspettate la fine delle vacanze. Poi ve lo racconto.
Nel disegno “Saudade“, Lisbona, luglio 2025
Saudade: quel sentimento di struggente malinconia nei confronti di qualcosa che, si teme, non ritornerà, o non avverrà mai.
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- 04, 2020 - MOSTRE, RACCONTI D'ARTE - 5 commenti


L’eco sulle scale
Mercoledì otto aprile. Giorno imprecisato della quarta o quinta settimana di quarantena – thanks to Coronavirus – e ho perso anche l’orientamento spazio temporale. Isolamento forzato dentro le nostre case.
“Restate a casa”, tuonano da tutte le parti, restate a casa. Il decreto, la tivvù, la radio, i social le chat gli zii i nonni i parenti. Tutti. L’abbiamo capito! Basta! E dove vuoi che andiamo?! Al lavoro non possiamo andarci, i musei ce li hanno chiusi l’8 di marzo e da allora non si sa più nulla. C’è chi dice che prima della fine di maggio di riaprire non se ne parla proprio.
Noi qui siamo rinchiusi in due. Uno è in cassa integrazione (deo gratia) e l’altro disoccupato. Per via della tutela dei lavoratori della cultura. Vediamo come sarà “tornare alla normalità”.
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- 10, 2019 - MOSTRE - 4 commenti


Come un’epifania. Il tempo a mani nude (in una manciata di ore)
Oltrepassando un anonimo portone, al numero 26 di Via Dante, giusto a fianco dell’ingresso del ben più noto cinema di Dueville, si entra in un luogo che non ti aspetti. Le pareti consunte da anni in cui l’umidità ha trascorso ad abbracciare l’intonaco incontrano gli sguardi degli astanti. Al termine dell’ampio corridoio, sulla destra, si apre una stanza più grande, con un tetto leggermente spiovente, e alcune botole sul soffitto. La luce lì è più attenuata, occhi di bue illuminano a spot solo alcune porzioni delle superfici impolverate.


IL TEMPO A MANI NUDE. Un incontro privilegiato con opere e luogo.
Uno spazio privato apre le porte all’opera di DENIS VOLPIANA e CHRISTIAN MANUEL ZANON.
Progetto a cura di Petra Cason Olivares
Il laboratorio di lattoneria della famiglia Cason a Dueville (Vicenza), luogo di lavoro di mani abili e di sapienza artigiana, caduto in disuso da diversi decenni, è rimasto, nel tempo, quasi immutato.
Spazio di raccordo tra l’esterno – il paese e la sua vita – e la quotidianità della casa, l’ex laboratorio conserva al suo interno parte della struttura originale: i tavoli da lavoro, le cassettiere ricolme degli strumenti d’uso – le tenaglie e i martelli riposano velati di polvere – la bocca di fuoco della fucina ormai spenta, brani di stagno che guardano con invidia la lucentezza dei pochi caldieri in rame rimasti.
Negli anni, lo spazio assume una nuova valenza, diventando la cucina di una famiglia numerosa, privata del suo capostipite, Cesare. Nel 2019 la casa viene definitivamente svuotata dei suoi ultimi inquilini, e posta in vendita. La dinastia troverà il suo epilogo altrove.