Alcune notti fa ho fatto un sogno vivido: ho sentito, con l’esattezza della realtà, il peso di un corpo che si sdraiava sopra al mio, ne ho percepito la pressione sulla cassa toracica, il contatto della pelle, il piacere della vicinanza. Tutt’altro che restia a provare un’esperienza simile, ho ceduto, in sogno, all’abbraccio di cui ero protagonista. Al risveglio ero talmente certa che l’esperienza non fosse stata solamente onirica – relegata alla brevissima parentesi della fase REM – da provare un certo disappunto non trovando al mio fianco quel corpo sognato. In che modo la psiche condiziona (in sogno così come nella vita reale) il nostro corpo e la percezione che abbiamo di esso? Poche sono le volte in cui ci si lascia andare “come un corpo morto cade”…
Una volta terminata la visita alla mostra intitolata Espansioni/Contrazioni (mostra che trae spunto dai concetti sviluppati dallo psicoterapeuta Alexander Lowen “fondatore dell’analisi bioenergetica, pratica volta alla cura dei blocchi psichici attraverso un approccio diretto alla risoluzione degli scompensi fisici”) non ho potuto fare a meno di collegare il mio “sogno esperienziale” con quello che era stato il mio microviaggio tra le opere esposte, e la forte relazione tra queste e le riflessioni sulla percezione del corpo.
ESPANSIONI/CONTRAZIONI è una mostra non semplice, realizzata in più momenti. In una prima fase i curatori, Andrea Penzo e Cristina Fiore, hanno invitato gli artisti a partecipare ad un incontro introduttivo con il professor Tarca sulla valenza del rapporto tra corpo e mente e su come la dimensione corporea e quella spirituale si influenzano l’un l’altra. Successivamente Paolo Maccagno ha tenuto un workshop che si riallacciava al pensiero di Lowen attivando delle pratiche corporee, durante le quali gli artisti hanno dovuto relazionarsi anche fisicamente, sperimentando in prima persona l’approccio psicocorporeo interpersonale affrontato fin lì solo nella teoria.
Forte Carpenedo, spazio espositivo scelto per la mostra, è stato anch’esso parte integrante del processo elaborativo delle opere da parte degli artisti. Il corpo sinuoso e umido del Forte, la disposizione delle sue stanze lungo i corridoi semibui, quasi dei cunicoli, ha inciso fortemente nell’interazione, raggiungendo in alcuni casi picchi di intensa sintonia tra le opere e lo spazio. La visita stessa della mostra è un’esperienza, amplificata dal Forte, che fa da cassa di risonanza delle percezioni cognitive. Questo effetto l’ho sperimentato in prima persona: non mi stupisco che molti di questi artisti abbiano scelto l’azione performativa per esprimere il punto d’arrivo delle loro elaborazioni.
Chi meglio di altri ha saputo integrarsi con il Forte come fosse un corpo vivo e saggiarne la consistenza attraverso l’esplorazione è stata Sandra Hauser. Il video di Sandra (C-A-R-P-E-N-E-D-O A shady mind in a hypothetical body) ha dei connotati psicologici profondi: per conoscere a fondo la propria identità bisogna scavare nella propria psiche, come si stesse esplorando un corpo fisico o uno spazio, vagliando le zone d’ombra alla ricerca del significato profondo del proprio essere. In un video di quasi due ore, proiettato in una delle tante nicchie buie del Forte, Sandra raccoglie gran parte del girato in presa diretta, summa di cinque giorni di lavoro, realizzato vagando giorno e notte per le stanze chiuse del Forte, facendosi luce con una torcia elettrica, mantenendo l’inquadratura della videocamera all’altezza dei suoi occhi. Lo spettatore scopre con lei (attraverso la proiezione in tempo reale) gli oggetti abbandonati, dimenticati da anni, coperti di muffa e mangiati dall’umidità, percependo dal respiro affannoso la tensione che provava l’artista avanzando nella difficile esplorazione.
Nicole Voltan ha lasciato che fosse il suo istinto a scegliere la stanza che avrebbe ospitato il suo lavoro. Nella n. 29 (“cifra che coincide con il numero delle ossa del cranio”: dicendolo sorride, compiaciuta dalla coincidenza numerica) ha installato il suo SOMA – Segnale Neuronale Invadente. 450 metri di filo e un centinaio di aghi le sono serviti per ricreare ingigantita la rete neuronale. La sua costante ricerca artistica che mette in relazione l’infinitamente piccolo con l’infinitamente grande, l’ha portata ad elaborare nella stanza 29 questa suggestiva “costellazione cellulare”, costantemente illuminata da un significativo fascio di luce che proviene dall’esterno…
Qualche stanza più avanti ho avuto di fronte l’installazione di Samuele Papiro, LOW LEVEL NEUROLOGICAL STATE. La visita qui comincia a farsi più intensa. L’artista nei giorni scorsi me ne aveva parlato più volte, per cui credevo di sapere cosa aspettarmi. Tuttavia l’impatto con l’opera è stato inevitabilmente forte. L’installazione è composta da due letti di ospedale: sul primo letto ci sono le stampe di tutte le foto realizzate da Samuele tra il 2009 e oggi. Sull’altro letto ci sono i volti disegnati di tre persone in stato vegetativo e di coscienza minimale. Tra un letto e l’altro una cortina di foto che ritraggono l’artista stesso. Samuele, nel testo in mostra, invitava a spostare le foto dal primo letto al secondo, interagendo con un corpo (il corpus di foto) che non ha più alcuna intenzione, e compie azioni, oramai, solo per volontà di terzi. (Dopo essere state stampate, tutte le immagini sono state cancellate definitivamente dal supporto digitale che le conteneva.)
Della performance di Alice Di Lauro non rimane che l’oggetto cardine dell’azione. Purtroppo non ero presente all’inaugurazione, per cui non posso che rifarmi ai racconti dell’artista stessa e delle persone che hanno interagito con lei il giorno dell’apertura della mostra, oltre alla sensazione che io ho provato nel vedere esposto il carretto verticale che usava Alice durante la performance. Questo giaceva come un totem sul fondo del corridoio poco illuminato, una sagoma singolare, ritta a fare le veci di un’esperienza conclusa. RESA è il titolo del lavoro: le braccia esili di Alice hanno sostenuto per ore gli spettatori i quali, cogliendo il suo invito, si abbandonavano alla precarietà dell’inusuale mezzo di trasporto, fidandosi dell’artista e lasciandosi trasportare lungo in corridoi bui nella pancia del Forte.
La videoproiezione di Alessia Cargnelli, all’imbocco del corridoio principale, si intitola TENTATIVI DI CADUTA e ritrae un corpo abbandonato a pelo d’acqua che d’un tratto lotta con la resistenza che il liquido gli oppone; in EFFIMERA # 3 gli organi e le ossa d’argilla cruda di Barbara Fragogna, abbandonati anch’essi, ma sul pavimento, sono suscettibili del calpestio degli spettatori; lo scatto di Sara Mognol (YOU ARE MY BODY) ritrae due cuscini, simulacro di due corpi che simultaneamente si sostengono e si respingono; le api nella videoinstallazione LA REGIONE DEL ROSSO di Daniela Manzolli comunicano tra loro attraverso un suono incomprensibile che investe gli spettatori; il cuscino di Lucio Serpani è l’altare di centinaia di lame di bisturi sporgenti (QUANDO MI ADDORMENTO ABBRACCIO IL MONDO); il video della performance di Anna Ramasco (40 SEGNANTI) ritrae i quaranta sordomuti, coinvolti nell’azione performativa corale, che discutevano animatamente tra loro attraverso il linguaggio LIS mischiati agli spettatori che varcavano la soglia della mostra, la sera dell’inaugurazione…
Queste non sono tutte le opere esposte, il mio non è che un assaggio. Nel weekend che rimane di apertura prendetevi del tempo, e andate a fare questo incontro, abbandonandovi alla percezione del peso di un corpo. Quello dell’arte.
(Mi scuso con gli artisti per aver “rubato” dalla rete alcune delle immagini delle loro opere)